“Zbigniew Brzezinski” di Gaetano Riggio

Un pilastro della politica estera americana poco noto, il polacco Zbigniew Brzezinski

Lo Spunto Letterario
di Gaetano Riggio


Un pilastro della politica estera americana poco noto, il polacco Zbigniew Brzezinski

Mentre tanti tra noi, sia pure soltanto per vaghe suggestioni e reminiscenze televisive, saprebbero collocare il nome di Henry Kissinger nello spazio e nel tempo della contemporaneità, e raccogliere dalla loro personale enciclopedia mentale alcune informazioni, per quanto scarne e frammentarie, tipiche del sentito dire, del tipo: “pezzo grosso della politica estera americana ai tempi della guerra fredda, uomo di potere freddo e cinico, che ha svolto un ruolo di primo piano in alcuni eventi cruciali”; e altri ancora, sebbene in numero più esiguo, entrare in qualche dettaglio: “consigliere per la sicurezza nazionale, segretario di Stato del Presidente Nixon, machiavellico macchinatore del colpo di stato del 1973 in Cile, ma anche teorico dell’equilibrio di potere e promotore della distensione, eccetera, a seconda del livello culturale; invece, per quanto riguarda Zbigniew Brzezinski, non siamo lontano dal vero, se affermiamo che è un perfetto sconosciuto.
Eppure, se Kissinger è stato “un consigliere e collaboratore del principe” (il presidente degli Stati Uniti) per diversi anni, lo stesso si può dire di Brzezinski: il primo, ai tempi della presidenza di Nixon (1969-1974) e Ford (1974-1977); il secondo, nell’amministrazione Carter (1977-1981), precisamente nel ruolo di consigliere per la sicurezza nazionale.
Sia l’uno che l’altro, poi, anche quando hanno smesso di ricoprire ruoli ufficiali nel governo degli Stati Uniti, hanno continuato a influenzare la politica estera americana, e ad indirizzarla, con le loro indicazioni strategiche, elaborate nell’ambito di influenti commissioni e centri di ricerca, di cui hanno fatto parte.
Ciò vale in particolar modo per Brzezinski, nato a Varsavia nel 1928, figlio di un diplomatico polacco rifugiatosi in Canada, dove si trovava in qualità di console generale, quando la Polonia fu invasa dalla Germania nel 1939. Egli è stato infatti un pilastro della politica estera americana degli ultimi decenni.
Dopo avere ottenuto la cittadinanza ed essersi guadagnato la meritata fama di grande esperto di storia dell’Europa orientale e dell’Unione sovietica in particolare nelle Università di Harvard e Columbia, ha cominciato a collaborare come consulente del governo già nel 1956.

E anche se è vero che la sua esperienza alla Casa Bianca fu breve, si può dire che egli è rimasto dietro le quinte della politica estera americana per un lungo periodo.
Fu infatti un prezioso consigliere dal 1956, quando Hubert Humphrey chiese la sua consulenza sull’URSS, fino al 2010, quando Obama lo consultò sulla politica estera americana in Medio Oriente. In breve, nel corso della sua carriera Brzezinski fu consigliere di tutti i presidenti americani, fatta eccezione per G. W. Bush.
Ritornando al confronto con Henry Kissinger, non esiste alcun dubbio che la visione strategica di Brzezinski, opposta a quella di Kissinger, abbia prevalso orientando la rotta della politica estera statunitense dell’ultimo mezzo secolo in modo determinante.
Se infatti Kissinger era un fautore della strategia dell’equilibrio di potere, che comportava la ricerca dell’accomodamento con l’Unione Sovietica (e poi con la Russia), per il bene della stabilità e della pace attraverso la distensione, anche se ciò avrebbe richiesto il mantenimento dello status quo, e portato all’immobilismo; Brzezinski mirava invece a un radicale cambiamento attraverso la destabilizzazione dell’Unione sovietica, da promuovere facendo leva su debolezze e fragilità del socialismo reale, di cui egli era divenuto esperto conoscitore.
Per fare un esempio capitale, una debolezza del Cremlino erano i diritti umani, e Brzezinski propose di sfruttarla a vantaggio degli Stati Uniti (infatti, l’impegno sui diritti umani fu in cima della politica estera della presidenza Carter (1977-1981). Egli comprese che il disprezzo dell’Unione Sovietica per i diritti umani poteva essere un’utile arma al fine di destabilizzare l’impero innescando il dissenso al suo interno. Kissinger invece credeva che usare i diritti umani come un mezzo per mettere i sovietici in cattiva luce fosse un errore che avrebbe eroso l’equilibrio di potere portando al collasso della distensione.
Con le ultime considerazioni siamo approdati sul lido incerto della più stretta attualità, dove la strategia di fondo di Brzezinski ci appare ispirare il modus operandi degli USA e della NATO, che prescindendo da ogni considerazione di equilibrio di potere tra le massime potenze nucleari continuano a perseguire l’obiettivo di espansione della NATO e di ridimensionamento della Russia sia riducendo la sua sfera di influenza tra gli Stati dell’ex Unione Sovietica (cooptazione di Ucraina, Georgia, Moldavia) sia alimentando il dissenso e il malcontento al suo interno.

Insomma, se Brzezinski ha studiato così a fondo la storia della Russia e dell’Unione sovietica, è perché sperava che un giorno avrebbe potuto mettere le sue conoscenze e le sue intuizioni strategiche al servizio della nobile causa della lotta contro il socialismo e il dominio russo sulla sua Polonia, e sul resto dell’Europa orientale.
Proprio la Polonia, in quanto anello debole del Patto di Varsavia, nonché patria di Brzezinski, si rivelò essere particolarmente suscettibile alla penetrazione dell’influenza e dell’ingerenza degli Stati Uniti in appoggio e sostegno del malcontento e delle ostilità antisovietiche che ambivano ad organizzarsi e ad agire politicamente.
“Una delle principali strategie di Zbigniew Brzezinski, nel confronto con l’Unione Sovietica, fu quella di incoraggiare i dissidenti ad agire. I mezzi da usare erano parecchi, ma il consigliere per la sicurezza nazionale credette fortemente nel potere della radio. Considerò Radio Europa Libera, fondata dal Congresso degli Stati Uniti nel 1949, un’eccezionale fonte di ispirazione per gli oppositori del dominio sovietico in Europa Orientale. Durante l’amministrazione Carter egli spinse per la diffusione delle trasmissioni in lingua locale nei paesi satelliti dell’Unione Sovietica. Le conseguenze furono presto visibili. Radio Europa Libera giunse persino nella residenza di Cracovia del cardinale Karol Wojtyla, eletto papa nell’ottobre 1978, con enorme sorpresa.”

Nel dicembre 1977, prima di insediarsi alla Casa Bianca, Carter fece un viaggio in Polonia, riscuotendo successo tra la gente, che vedeva in lui e nel suo consigliere per la sicurezza nazionale un aiuto per scrollarsi di dosso il dominio sovietico. L’elezione del cardinale Wojtyla a papa con il nome di Giovanni Paolo II fu un evento fondamentale, che permise di galvanizzare e mobilitare il risentimento antisovietico diffuso nonché il malcontento per la grave crisi economica.
Il primo importante risultato fu il formarsi di una opposizione sindacale organizzata, che prese il nome di Solidarnosc, che a quel punto era soltanto la punta dell’iceberg di una mobilitazione che aveva come punti di riferimento due figure apicali di potenze straniere, entrambe polacche: il consigliere per la sicurezza nazionale di J. Carter, Z. Brzezinski; e il capo della Chiesa cattolica, papa Giovanni Paolo II.
Con il senno di poi, sappiamo che la situazione politica della Polonia evolse secondo gli auspici di Washington, che in quel frangente poté fare affidamento sull’alleanza con la Chiesa cattolica, fattore identitario fondamentale della nazione polacca, nonché deposito di idee e valori fortemente sentiti e condivisi dalla gente.
Il colpo di stato del 1981 rinviò soltanto di qualche anno il crollo del regime comunista. Nel frattempo Brzezinski lavorò per attuare la transizione della Polonia verso la democrazia e il libero mercato, e il suo ingresso nella Nato.
“Negli ultimi anni Ottanta, Brzezinski cominciò a impegnarsi maggiormente nella vita politica della Polonia, che era la sua patria. Molti dei suoi progetti riguardavano la Polonia, e l’obiettivo di lungo termine di Brzezinski era sicuramente l’ingresso della Polonia nella NATO. Per raggiungere questo scopo la Polonia aveva bisogno di riforme e cambiamenti.
Dopo la fine della presidenza Carter (1981) Brzezinski divenne consigliere del Centro di studi internazionali e strategici (CSIS), in Washington D.C. Nel 1992, dopo il crollo dell’Unione sovietica, il CSIS divenne il centro di un progetto per sostenere la transizione della Polonia al libero mercato. Fu inoltre istituita una Commissione di azione polacco-statunitense, a cui parteciparono uomini d’affari, politici, ufficiali, ed esperti di entrambi i paesi, per facilitare gli investimenti stranieri in Polonia. Inoltre Brzezinski si impegnò a creare un Fondo polacco-americano, finanziato dal Congresso, che fornì 240 milioni di dollari per sostenere la transizione dell’Europa Orientale al libero mercato e della Polonia alla libera impresa.”
Dicevamo che l’ingresso della Polonia della NATO (e poi degli altri paesi dell’Europa dell’Est) era l’obiettivo ultimo di Brzezinski, al quale lavorò negli anni Novanta riuscendo a superare le esitazioni del presidente B. Clinton.
“Egli effettivamente divenne uno dei più rilevanti attori esterni al governo, energicamente impegnato a influenzare l’intero processo, grazie ai suoi rapporti con le autorità polacche e le principali figure politiche. Effettivamente l’allargamento a Est della Nato era diventata la questione principale della politica estera americana.
Il crollo dell’Unione Sovietica nel Novembre del 1989 comportava la necessità di un riassetto del sistema della sicurezza europea. Dopo la fine del bipolarismo della guerra fredda, Polonia, Germania dell’Est, Ungheria, Cecoslovacchia hanno mostrato di voler aderire ai sistemi del mondo occidentale.
Alla caduta del muro di Berlino Brzezinski pubblicò su Foreign Affairs un articolo molto interessante, “Impegno selettivo globale”, dove spiegava che gli ex satelliti dell’Unione europea desideravano entrare sia nell’Unione europea che nella Nato, mentre la Russia voleva evitare tutto ciò. La speranza di Brzezinski, chiaramente espressa, era che l’Europa non avrebbe deluso le loro aspettative.
Durante il processo di allargamento Brzezinski partecipò a un gruppo di lavoro, formato da lui stesso e altri due compatrioti: Jerzy Kominski e Jan Nowak. Il primo era stato nominato ambasciatore a Washington nel 1994, il secondo era il leader della lobby polacco-americana al Congresso federale. Il team era impegnato nel premere per un ingresso della Polonia nella Nato.
B. poteva avvalersi di un collega che aveva fatto parte dell’amministrazione Carter: Anthony Lake, consigliere per la sicurezza nazionale di Clinton, che aveva condiviso con Brzezinski la necessità di un’espansione dell’Alleanza atlantica, e contribuito a mostrare al Presidente quanto la questione fosse importante.
Il problema era dato dal capo del Dipartimento della Difesa, Christopher Warren, che nel 1994 dichiarò che l’espansione della Nato non era nell’agenda della politica estera americana.
Il team polacco fece allora ancora più pressione, e in un colloquio con Lake, il 21 dicembre 1994, lo esortò a convincere Clinton che quella era la strada giusta.
Dal momento che Bush aveva permesso alla Germania riunificata di entrare nella NATO, argomentarono i tre, Clinton non doveva fare altro che seguire la sua strada aprendo all’ingresso dei paesi dell’Europa orientale.
Brzezinski ebbe la meglio, tanto è vero che Clinton dichiarò che l’allargamento della Nato non era una questione di “se ma quando”.
Il Rubicone fu infine attraversato nel vertice NATO del 1999, quando Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca diventarono membri effettivi, a pieno titolo, del sistema di sicurezza transatlantica.
Da questo momento in poi, cominciano, molto paradossalmente, a maturare le condizioni non per una nuova era di pace, come non era irragionevole ritenere allora, ma per una Terza guerra mondiale nel cuore dell’Europa.
Aveva ragione Machiavelli, quando affermò, nel Principe, che l’uomo politico va in rovina quando usa una modalità di azione politica, che si era dimostrata di successo in una determinata situazione, in situazioni nuove e diverse.
Seguendo infatti la strategia che Brzezinski aveva usato in Polonia, e negli altri paesi dell’Europa centro-orientale, gli USA hanno ritenuto di potere, in modo analogo, cooptare nell’UE e nella NATO persino l’Ucraina, in modo da sferrare alla Russia il colpo di grazia.
Peccato che, nel caso dell’Ucraina, l’ingerenza sarebbe stata piuttosto complicata, e non senza effetti collaterali: l’Ucraina non era la Polonia.
Non soltanto mancava un papa ucraino, ma anche quella omogeneità culturale e unanimità di popolo che avevano caratterizzato la situazione polacca permettendo un radicale cambio di regime quasi indolore, e senza fratture, con il consenso della stragrande maggioranza dei polacchi.
La verità è che la sirena dell’Occidente non ha sedotto tutti gli ucraini, così come aveva sedotto tutti i polacchi, tra gli anni Settante e Ottanta, tanto è vero che il paese è precipitato nella guerra civile, nella quale almeno la Crimea e l’Ucraina orientale hanno voltato le spalle all’Occidente.
Gli americani pensavano a un facile cambio di regime, anche perché seguendo l’analisi di Brzezinski hanno sottovalutato la resilienza della Russia, e la sua capacità di fare rete sia con le ex Repubbliche asiatiche dell’URSS, che con l’Iran e la Cina, e gli altri paesi BRICS.
Se in seguito al crollo del comunismo, alla disintegrazione dell’Unione Sovietica, e allo scioglimento del Patto di Varsavia, a una Russia prostrata non rimaneva altro da fare che assistere impotente alla vittoria dell’Occidente, che si è pure permesso il lusso, seguendo le indicazioni di Brzezinski, di rimangiarsi l’impegno di non espandersi al di là della Germania (“non un centimetro in più!”), nel frattempo la situazione è cambiata profondamente.
Secondo Brzezinski, alla Russia non rimaneva da fare altro che elaborare il lutto della perdita della sua statura imperiale, vale a dire, dopo un lungo processo, “impegnarsi in uno spostamento più profondo da una mentalità imperiale a una nazionale in relazione alle nuove realtà geopolitiche non soltanto in Europa centrale, ma specialmente all’interno dell’ex Impero russo”!
Solo a queste durissime, ma secondo Brzezinski realistiche condizioni, “a real partnership with America could become a viable geopolitical option”!
La partnership con gli USA, se mai si fosse realizzata, non sarebbe stata tra potenze di pari rango, ma da una posizione di egemonia degli USA sulla Russia, che avrebbe dovuto rinunciare alla sua sfera di influenza non soltanto sull’Europa orientale, ma anche sull’Ucraina, e sulle Repubbliche asiatiche che avevano fatto parte prima dell’impero zarista, e poi dell’URSS.
Dal punto di vista americano, l’attuale guerra non sarebbe altro che la conseguenza di una mancata presa d’atto, da parte russa, della nuova realtà, e dell’attaccamento tenace e irrazionale a una visione imperiale di sé ormai priva di fondamenta.
Ma se la Russia vivrebbe di nostalgia, gli USA, a giudicare da quello che accade, vivrebbero di imperdonabile presunzione e arroganza.
Se infatti non è più potenza globale, la Russia è sicuramente una potenza regionale, che ha saputo riprendersi dalla gravissima crisi di transizione dopo il crollo dell’URSS, e diventare punto di riferimento di tutti quegli Stati (del cosiddetto Sud del mondo) di cui gli USA, la NATO, e istituzioni finanziarie connesse, si sono alienate l’alleanza o l’amicizia a causa della loro spregiudicatezza e ipocrisia.
A onore del vero, Brzezinski aveva previsto questo rischio. Se infatti, durante il crollo del comunismo, l’America è riuscita a imporre il suo modello ai paesi dell’Europa Orientale con la persuasione e con il consenso dei popoli (il caso della Polonia è paradigmatico), già a partire dalla guerra civile in Iugoslavia ha cominciato a ricorrere alla via sbrigativa dei “bombardamenti umanitari”: massacrare i civili per il trionfo del bene, una scia di sangue molto lunga che dalla Serbia si è allungata in Iraq, Afghanistan, Libia, Siria, Palestina; oppure si è servita della tecnica del cambio di regime, che se ha funzionato in modo esemplare in Polonia e Europa centrale per una situazione storica irripetibile, nel resto del mondo non ha portato che instabilità, tensioni politiche, e il rischio di nuove guerre.
Brzezinski ha colto il rischio insito in tutto ciò: quello di alienarsi il consenso di quel resto del mondo di cui l’America avrebbe voluto essere la guida e il modello! Ecco perché Brzezinski sioppose alla Seconda Guerra del Golfo, e ha spinto, ma questa volta senza essere ascoltato, per una soluzione della questione palestinese (tanto da attirarsi l’accusa di antisemitismo!), e per accordo con l’Iran.
Sapeva che era da evitare un asse Russia-Iran-Cina, ma se è stato molto ascoltato quando parlava da falco, assai meno quando suggeriva buon senso e moderazione.
Non a caso, quando ha suggerito di appoggiare e finanziare le fazioni del fondamentalismo islamico in Afghanistan in funzione antisovietica, ha avuto molto successo, ma non è affatto certo che ne sia valsa la pena.
L’ironia tragica è data dal fatto che Brzezinski esordisce come consigliere per la sicurezza sotto Carter, la cui agenda metteva in primo piano i diritti umani, da tutelare e promuovere nel mondo, in discontinuità con le presidenze precedenti, che si erano macchiate di crimini e illegalità, in particolare in Cile e Vietnam, suscitando sdegno e rabbia nel mondo.
Le cose sono andate bene finché le Crociate per la democrazia hanno interessato paesi affini a quelli occidentali, di male in peggio in seguito, quando le marce trionfali sono state preparate da bombardamenti e massacri, in paesi musulmani, o russo-ortodossi, come nelle regioni della Crimea e del Donbass, in Ucraina.
In queste innumerevoli guerre, abbiamo violato i diritti umani più di tutti gli altri paesi al mondo (è il parere autorevole di A. Orsini), senza avere neanche minimamente raggiunto l’obiettivo di portare la pace e instaurare la democrazia. Abbiamo portato soltanto morte e desolazione in Iraq, Afghanistan, Siria, Libano, e per ultimo in Ucraina, e in Palestina.
In Palestina, in particolare, il fallimento degli Stati Uniti e dell’Europa è stato totale e tragico. Se consideriamo gli israeliani per quello che sono, vale a dire europei trapiantati in Palestina, non possiamo non prendere atto del fatto che è solo con la più brutale forza delle armi, che gli occidentali mantengono la loro presenza in Medio Oriente, e ora ricorrono al genodicio, per risolvere il problema della terra sottratta al Popolo palestinese eliminando il Popolo palestinese dalla faccia della Terra!

Gaetano Riggio


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Carletto Romeo