Un nuovo regime repressivo

Segnali diffusi di una nuova forma di regime repressivo nell’Occidente libero che ripropone i classici meccanismi censori.

Un nuovo regime repressivo


Non mancano inequivocabili e diffusi segnali che nell’Occidente libero stia prendendo forma un nuovo regime repressivo, che ripropone i classici meccanismi censori, che soprattutto a partire da Freud la psicoanalisi ha smascherato nella loro struttura, contribuendo così a quel processo di emancipazione e liberazione del pensiero che contraddistingue la nostra società.

Una pietra miliare fondamentale, nella suaccennata liberazione, l’aveva in realtà posta Kant, quando nel celebre opuscolo “Risposta alla domanda: ‘Che cosa è l’illuminismo’?” (1784), fa dire dal re ai sudditi: “ragionate quanto volete e su tutto ciò che volete; solamente obbedite!”

Kant contrappone a una dose elevata di inibizione dell’azione, che deve comunque conformarsi alle leggi dello Stato, la disinibizione del pensiero, che deve invece conformarsi esclusivamente alle leggi della logica, che ne consentono svolgimento e sviluppo.

Ma questa emancipazione della ragione non può avvenire – argomenta Kant – senza assestare un colpo decisivo all’autoritarismo e al paternalismo, che è un meccanismo di controllo dei pensieri prima che delle azioni, che prolunga lo stato di dipendenza infantile nella fase dell’età adulta.

Il paternalismo è infatti un abuso dell’autorità paterna, che invece di guidare il giovane allo sviluppo delle sue proprie facoltà al fine di renderlo autonomo, le comprime e le atrofizza, di fatto perpetuandone lo stato di dipendenza in modo patologico, al di là del limite naturale.

Rifacendoci di nuovo a Freud, si ha paternalismo autoritario, quando l’istanza del super – Io diventa ipertrofica e invasiva, così che la subordinazione del figlio a quello che decide o pensa il padre si estende al di là del limite “naturale” dell’età giovanile, quando ancora la guida è necessaria.

Il paternalismo impone dunque al figlio – suddito di pensare con i pensieri del padre – sovrano, il che è possibile se la facoltà/attività del pensiero rimane soggetta a uno stato di vigile censura sanzionatoria, in cui il divieto di pensare agisce dall’interno della psiche come un continuo disincentivo che si avvale della deterrenza della riprovazione e del senso di colpa.

Un sintomo evidente di questo nuovo regime repressivo, è la riprovazione “di gregge”, il linciaggio mediatico, le prese di distanza del gruppo finalizzate all’emarginazione e all’esclusione del singolo dissenziente (anche con atti formali: dall’università, dall’ordine medico, dall’associazione sportiva o di volontariato, eccetera), che hanno colpito anche alcune note personalità già prima, ma soprattutto (e con una esemplarità da manuale) durante la pandemia, e ora con la nuova emergenza della guerra.

Un altro sintomo ancora, è la reazione isterica al dissenso, paragonabile a un’allergia della mente, che respinge i pensieri “eterodossi” come una provocazione da evitare a priori, in quanto “cosa impensabile” che se incautamente maneggiata potrebbe avere effetti corrosivi!

In altre parole, l’isterismo ideologico è una violenza che il soggetto fa innanzitutto a sé stesso: un meccanismo di autodifesa con il quale egli si fa scudo contro i pensieri “eterodossi” che potrebbero emergere dal proprio interno: vale a dire che i pensieri altrui sono tanto più odiosi quanto più potenzialmente condivisibili. Una provocazione che va prevenuta, anticipata o sfuggendo al confronto o facendo tacere l’avversario con l’aggressività.

La persecuzione che si accanisce contro il libero pensiero all’interno di istituzioni scientifiche, non è tanto il fine del nuovo regime repressivo, quanto piuttosto il mezzo, con il quale il nuovo super – Io, normalizzando il pensiero critico al suo più alto livello, impone uno standard, un paradigma dogmatico, che diventa senso comune, conformismo di massa.

Tanto è vero che i processi, mediatici e non, ultimamente intentati contro diversi scienziati e intellettuali, non vertono mai veramente sul merito delle argomentazioni o delle tesi nel loro spessore tecnico – scientifico o tecnico filosofico, ma si avvalgono piuttosto di tutto l’armamentario che la retorica della comunicazione fornisce per gettare fango e discredito, rimarcano che si tratta di posizioni non ufficiali, non condivise dal gruppo o dall’istituzione scientifica di appartenenza, come se il consenso o l’approvazione collettivi fossero i criteri di veridicità della ricerca, e non l’applicazione delle metodologie scientifiche, delle tecniche ermeneutiche, della riflessione imparziale e spassionata.

L’obiettivo è raggiunto, se un certo stile di pensiero diventa “tabù”, se il discredito dell’élite dissenziente diventa monito per tutti, agisce da filtro che scarta e smaltisce quel che non deve essere pensato.
In fasi storiche analoghe a quella che stiamo vivendo, la necessità o l’opportunità della compattezza sociale intorno a credenze o opinioni di un certo tipo, s’impongono come una priorità che fa scattare potenti molle conformistiche, a scapito della libertà delle opzioni, dell’obiettività delle tesi, della libertà di ricerca ed espressione del pensiero.

Si tratti della pandemia, o della guerra, oppure della ridefinizione dell’identità sessuale e del concetto di famiglia secondo nuovi paradigmi e canoni, in tutti questi casi, il consenso passa attraverso un rinnovato regime repressivo, secondo il meccanismo che abbiamo illustrato a grandi linee.

Giusto per suffragare a livello esemplificativo quanto appena detto, mi riferirò alle vicissitudini di tre intellettuali, nonché uomini di scienza: anzi, ricercatori ancora prima che intellettuali.

Il primo è lo psicologo e accademico canadese Jordan Peterson, autore di diverse importanti pubblicazioni, noto e discusso per la sua ferma presa di posizione contro la dittatura del politicamente corretto, e contro la legge – C16, fortemente voluta dal premier canadese Justin Trudeau (tristemente noto alla cronaca per il ricorso all’Emergency Act per reprimere il Freedom Convoy contro l’obbligo vaccinale) e approvata alla fine del 2017 in Canada, che aggiorna il Codice dei diritti umani del paese così come il Codice penale introducendo una protezione specifica per “identità di genere e espressione di genere”.

La critica di Jordan si muove nell’ambito del pensiero scientifico, con gli strumenti del quale egli confuta l’assunto ideologico che sta alla base della suddetta legge, vale a dire quello del costruttivismo sociale, che considera il genere un costrutto culturale (un atto performativo) senza fondamento biologico.

Il problema è che il dibattito non si è mantenuto nell’alveo del confronto scientifico, appunto perché la ridefinizione dell’identità sessuale è diventata ormai un obiettivo ideologico, che mira a imporre un nuovo paradigma attraverso il conformismo di massa, e attraverso interventi sanzionatori che stigmatizzano ed emarginano i dissenzienti, anche se hanno ragioni scientificamente valide con cui fare obiezione. Riporto moniti e sanzioni subiti da Jordan Peterson (cito da Wikipedia):

“In risposta alla controversia sulla Legge C-16, il dipartimento di relazioni umane dell’Università di Toronto ha inviato a Peterson due lettere di avviso: […] A dicembre, tuttavia, l’università gli ha assicurato che avrebbe mantenuto il suo ruolo di professore, e a gennaio 2017 Peterson è tornato a insegnare psicologia all’Università di Toronto.

Nell’aprile 2017, a Peterson fu negata, per la prima volta in carriera, una sovvenzione del Social Sciences and Humanities Research Council, che egli ha interpretato come rappresaglia per le sue dichiarazioni riguardanti la legge C-16.

Nell’agosto 2017, un evento annunciato all’Università Ryerson intitolato “Il soffocamento della libertà di parola nei campus universitari” (The Stifling of Free Speech on University Campuses), organizzato dall’ex assistente sociale Sarina Singh e avente come relatori Peterson, Gad Saad, Oren Amitay e Faith Goldy è stato chiuso a causa della pressione sull’amministrazione universitaria del gruppo “No Fascists in Our City”. Tuttavia, un’altra versione del panel (senza Goldy) si è tenuta l’11 novembre al Canada Christian College con un pubblico di 1.500 spettatori.

Nel novembre 2017 Lindsay Shepherd, una teaching assistant (TA) della Wilfrid Laurier University (WLU), in un incontro privato fu redarguita e censurata dai suoi professori e dal manager WLU della GVPS (Gendered Violence Prevention and Support) per aver mostrato un segmento del programma televisivo The Agenda, che vedeva Peterson discutere della legge C-16, durante una discussione in classe.”

Si tratta di limitazioni e intimidazioni vere e proprie, che instaurano un regime repressivo, che non ha affatto a che fare con la scienza e la libertà del pensiero.
Gli esempi sarebbero tantissimi, e sarebbero davvero efficaci per farsi l’idea del clima da caccia alle streghe che si sta diffondendo negli ambienti accademici, e non solo, in quanto le idee elaborate in alto diventano senso comune in basso.

Per quanto riguarda le vittime del pensiero unico della pandemia, veicolato dalla troica del Comitato tecnico – scientifico, attraverso tutta la filiera dei media, dei talk show, degli apparati sanitari eccetera, con al vertice le superpotenze del farmaco, le istituzioni di farmacovigilanza eccetera, vorrei citare due ricercatori e docenti universitari: Paolo Bellavite, e Giovanni Fraiese.

Il secondo è endocrinologo e docente presso l’Università Foro Italico di Roma, recentemente “messo sotto processo” dall’Ordine dei medici per le sue tesi “non convenzionali” riguardo ai vaccini, maturate nell’ambito della ricerca medica ed epidemiologica.
Ma non è stato richiamato perché non sa applicare il metodo scientifico, ma perché applicandolo in coscienza si è discostato dalla vulgata propinata come verità unica e rivelata, dogma intoccabile.

Il primo è invece Paolo Bellavite, ricercatore e docente universitario dal raro curriculum, già cacciato dall’Università di Verona, dove ha insegnato per più di trenta anni patologia generale.
Quel che è stato intollerabile, dal punto di vista dell’Ateneo e di tutte le altre neo-istanze autoritarie, è l’indisponibilità dell’uomo a subordinare la verità scientifica, che è il risultato di una metodologia tanto semplice nei suoi principi quanto complessa nei suoi tecnicismi, a inedite priorità di gestione autoritaria del consenso, da ottenere attraverso il controllo dei mezzi di informazione e l’asservimento di giornalisti, intellettuali, professori.

Ultimamente, altri segnali inquietanti che si procede in questa direzione: il caso del professore Orsini, direttore dell’Osservatorio di Sicurezza Internazionale della Luiss, richiamato all’ordine dal suo Ateneo, vale a dire alla narrazione ufficiale sulla guerra tra Russia e Ucraina, per avere espresso ipotesi scientificamente ragionevoli, ma sgradite.

Clamorosamente angosciante, infine, è la decisione di Meta (ex Facebook) di dare libero corso a espressioni di odio contro Russia e russi, trasformando così lo spazio virtuale della comunità degli utenti in un campo di battaglia ad armi impari, dove trionfa la barbarie.


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Carletto Romeo