Tra i simoniaci della terza bolgia, e la questione della mercificazione

Per la rubrica "Lo Spunto Letterario" di Gaetano Riggio.

Lo Spunto Letterario
di Gaetano Riggio


I simoniaci sono peccatori fraudolenti, che scontano eternamente la loro pena nella terza bolgia del cerchio ottavo: sono infilati a testa in giù nelle buche che cospargono il fondo e le pareti della bolgia, dalle quali sporgono le gambe e i piedi, le cui piante bruciano come fiaccole unte d’olio.

Ciò che li accomuna agli altri fraudolenti, e’ l’ esercizio della simulazione e dell’inganno, con il quale hanno prodotto l’apparenza del servigio amorevole verso il prossimo (nel loro caso, nello svolgimento dell’attività pastorale e del ministero sacerdotale), mentre in realtà miravano soltanto a usurpare beni e ricchezze che solo incidentalmente erano connesse alla loro funzione.

Non vi può essere contrasto maggiore, per non dire contraddizione, a proposito del giudizio sulla simulazione fraudolenta, di quello tra la psicologia evoluzionistica, che prende atto del successo del mimetismo, della simulazione e della frode come strategie di sopravvivenza anche nella specie umana, e l’etica cristiana, che invece vede nella simulazione e nella frode che vi si associa, una delle manifestazioni più gravi del male morale, più dell’incontinenza e più della violenza.

Il contrasto sorge dal fatto che l’etica cristiana si basa sul concetto – limite (nel senso di una tendenza infinitesimale al limite) di una coincidenza dell’amore di sé con l’amore dell’altro (il prossimo), con la conseguenza che il perseguimento attivo dell’amore di sé a scapito del prossimo per mezzo della simulazione del contrario, ne costituisce la più radicale e beffarda negazione.

O Simon mago, o miseri seguaci // che le cose di Dio, che di bontate // deon essere spose, e voi rapaci // per oro e per argento avolterate, // or convien che per voi suoni la tromba, // pero` che ne la terza bolgia state. (Canto XIX Inferno, vv. 1-6.)

Per voi simoniaci, suonerà la tromba del giudizio di Dio – dice Dante -, poiché avete prostituito (avolterato, v.4) i doni di Dio per cupidigia di oro e d’argento!
Scendendo più nel concreto, avolterare le cose di Dio per rapacità di oro e argento, può significare diverse cose, comunque affini:
pagare per ottenere l’elezione papale, o la nomina a cardinale, vescovo, abate: la simonia è commessa sia dal corrotto che dal corruttore;
pagare per ottenere la nomina di sodali o parenti alle cariche ecclesiastiche: nella fattispecie, si parla anche di nepotismo;
approfittare della carica ecclesiastica per accumulare ricchezza fingendo spirito di carità cristiana;
più genericamente, ma in modo tale da mettere a fuoco l’essenza di questo peccato, la simonia è la compravendita di beni spirituali, ed esprime la convinzione diabolica che possa esistere l’ equivalente monetario di ogni cosa, che ogni bene o dono del creato, sia sacro che profano, siano mercificabili.

Da questo ultimo punto di vista, il prototipo del simoniaco è appunto Simon mago, del quale si parla negli Atti degli Apostoli 8, 9-24:

14 Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samaria aveva accolto la parola di Dio e vi inviarono Pietro e Giovanni. 15 Essi discesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; 16 non era infatti ancora sceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. 17 Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo.
18 Simone, vedendo che lo Spirito veniva conferito con l’imposizione delle mani degli apostoli, offrì loro del denaro 19 dicendo: «Date anche a me questo potere perché a chiunque io imponga le mani, egli riceva lo Spirito Santo». 20 Ma Pietro gli rispose: «Il tuo denaro vada con te in perdizione, perché hai osato pensare di acquistare con denaro il dono di Dio
.

Il vero peccato di Simon mago e’ il ritenere che il dono o il talento o l’atto di carità di trasmettere lo Spirito Santo possa avere un prezzo, cioè che essendo un bene o un servizio qualsiasi possa e debba, come tutti i beni e servizi in un’economia già monetaria, avere un suo equivalente in moneta sonante. Allora gli apostoli, allora lo stesso Dio, in base al listino prezzi che non dovrebbe mancare neanche in cielo, sarebbero tenuti a venderlo a Simone mago, così come avviene in un negozio, dove il venditore non guarda alla simpatia del cliente, ma soltanto alla sua tasca.

Ma né Gesù né gli apostoli hanno venduto alcunché, come illustra Dante con grande efficacia e in parole che vibrano di mal celato sdegno, rivolgendosi a Niccolò III, papa simoniaco:

Deh, or mi di`: quanto tesoro volle // Nostro Segnore in prima da san Pietro // ch’ei ponesse le chiavi in sua balia? // Certo non chiese se non “Viemmi retro”. // Ne’ Pier ne’ li altri tolsero a Matia // oro od argento, quando fu sortito // al loco che perde’ l’anima ria. (Canto XIX, vv. 90-96.)

Gesù non vendette a Pietro le chiavi del regno dei cieli, né lo stesso Pietro e gli altri apostoli pretesero del denaro quando diedero a Mattia il posto che era stato di Giuda. Non vendettero, ma donarono gratuitamente.

In primo luogo, comunque, anche volendo, Dio non potrebbe vendere nulla, in quanto essendo stato Tutto Quanto creato da Lui, non avrebbe acquirenti che potrebbero dargli qualcosa in cambio. Soltanto usurpando i beni che Dio stesso ha creato, gli uomini potrebbero ladronescamente vendergli qualcosa. Magari con la magia finanziaria del Fiat Money.

In secondo luogo, Dio ha creato per un atto d’amore: dandoci la vita e tutti i beni che le sono connessi, non ci ha posti in una situazione debitoria. Creando, non si e’ privato di nulla, che debba essergli restituito con gli interessi. Ecco perché i doni che Dio concede, sono gratuiti: il dono dello Spirito Santo, il dono delle chiavi del regno di Dio, il dono dell’apostolato, il dono della vita, e tutti gli altri doni, e così via.

L’economia del regno di Dio è l’economia del dono, che è l’antitesi della compravendita propria di un’ economia monetaria, che tende a ridurre tutto quello del quale l’uomo ha bisogno per vivere a beni e servizi che possano essere comprati e venduti (stadio della mercificazione totale).
L’uomo (nell’esempio di Dante, Simon Mago) non può comprare quello che Dio non vende, ma dona gratuitamente ed agapicamente a tutto il genere umano, o comunque secondo una giustizia distributiva che all’uomo sfugge. Non può comprare, inoltre, perché non possiede nulla che Dio non gli abbia dato, se non per averlo in qualche modo usurpato per farne mercimonio.

Quel che oggi non si comprende, in piena ideologia neoliberista, che ha mercificato tutto il mercificabile, compresa l’acqua e l’aria, e che tratta la vita dell’uomo come un capitale da valorizzare ed eventualmente quotare in borsa (per i più fortunati), e’ che esiste un limite al riduzionismo della mercificazione, vale a dire delle realtà che sono inalienabili, fuori dal circuito del mercato.

Se tutto quello di cui l’uomo ha bisogno, e che in ultima istanza e’ un dono della carità divina, del suo amore agapico, viene ridotto a bene o servizio soggetti a compravendita (di cui dunque si può disporre se si ha potere di acquisto, il che non è affatto scontato, come sa chiunque è costretto ad amaro pane a rompere), allora l’uomo tradisce il piano di Dio, che e’- afferma Dante a chiusura del poema -, l’amor che muove il Sole e l’altre stelle (ultimo verso dell’ultimo canto del Paradiso). Il verbo avolterare che abbiamo incontrato all’inizio del canto XIX, allude proprio a questo tradimento, che stravolge il piano della Provvidenza divina.

Le cose di Dio devono essere spose spose di bontà, cioè conformi alla logica del dono gratuito, e dunque non sono né acquistabili né vendibili, né tanto meno occasione di arricchimento, come se i doni di Dio potessero essere venduti ai fedeli in cambio di denaro! Dio dona gratuitamente i suoi doni agli uomini, e così devono agire coloro che lo rappresentano sulla Terra, e ne rendono testimonianza.
Invece i simoniaci, compresi molti papi, tra cui Niccolò III, e Bonifacio VIII, non esitarono a ingannare la Chiesa, e di farne strazio:

Se’ tu si` tosto di quell’aver sazio per lo qual non temesti torre a ‘nganno la bella donna, e poi di farne strazio? (Canto XIX, vv. 55-57.)

La bella donna e’ la Chiesa, di cui Bonifacio VIII si e’ impadronito con l’inganno, facendola prostituire per profitto. Il simoniaco non crede nella profusione gratuita dei doni da parte di Dio: crede invece che e’ il denaro a procurargli tutto ciò di cui ha bisogno. Il denaro prende allora il posto di Dio, e diventa oggetto del suo culto idolatrico. Ciò che dovrebbe essere dono d’amore, in analogia a quanto ha fatto Dio creando, egli lo trasforma in merce da vendere al migliore offerente:

Di voi pastor s’accorse il Vangelista, // quando colei che siede sopra l’acque //puttaneggiar coi regi a lui fu vista; // quella che con le sette teste nacque, // e da le diece corna ebbe argomento, // fin che virtute al suo marito piacque. // Fatto v’avete Dio d’oro e d’argento; // e che altro è da voi a l’idolatre, //se non ch’elli uno, e voi ne orate cento? (Canto XIX, vv. 106-114.)

L’evangelista vide la bella donna, già adorna del manto dei sette sacramenti e del decalogo biblico, puttaneggiare con i potenti di questo mondo!

Come accennavo, nella società della mercificazione totale, il dono tende a scomparire per diventare merce acquistabile da chi ha potere di acquisto. Tutto ciò che Dio ha donato, l’uomo lo usurpa per farne mercimonio, in cui i più scaltri fanno la parte del leone a scapito dei più.

L’amore parentale e familiare tende a essere sostituito da chi fornisce servizi di assistenza a pagamento, il dono della procreazione da chi vende il seme, o l’embrione, o affitta l’utero. L’amore tende a dileguare perché il servizio a pagamento è un do ut des, che e’ solo l’ombra ingannevole e fasulla del prendersi cura dell’altro, mentre i doni della natura sono sostituiti da prodotti artificiali che solo chi ha soldi può acquistare. Le piante sono un dono di Dio, ma non gli OGM, lo stesso vale per le altre cose.

Tutti i bisogni dell’uomo tendono a venire soddisfatti da beni e servizi offerti dal mercato, anche i bisogni più tipicamente umani che dovrebbero invece essere soddisfatti dal dono disinteressato dell’amore, e ciò conduce alla disumanizzazione totale propria della mercificazione.

E se non fosse ch’ancor lo mi vieta // la reverenza delle somme chiavi // che tu tenesti ne la vita lieta, // io userei parole ancor più gravi; // ché la vostra avarizia il mondo attrista, //calcando i buoni e sollevando i pravi. (Canto XIX, vv. 100-105.)


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Carletto Romeo