Suggestioni Veterotestamentarie del Sionismo

Il professor Gaetano Riggio e i suoi "Spunti" tra storia, passato, presente e attualità

Suggestioni Veterotestamentarie del Sionismo

Pur essendo il sionismo un movimento politico laico, inquadrabile nell’ambito del nazionalismo e del colonialismo di insediamento europei di fine Ottocento, tuttavia in esso non sono mai mancate le suggestioni del richiamo alla storia più antica del popolo ebraico, così inestricabilmente intrecciata ai libri sacri dell’Antico Testamento (possiamo prescindere, per i nostri scopi limitati, dalla distinzione e dalle differenze tra il Canone ebraico e il Canone cristiano), che ne sono il racconto divinamente ispirato, nonché uno straordinario patrimonio culturale e letterario, che ne ha plasmato la memoria storica, ed è dunque il fondamento dell’identità e della coscienza nazionale del popolo ebraico. 
Queste suggestioni non mancano nel testo che fonda il sionismo contemporaneo, vale a dire “Lo Stato ebraico” di Theodor Herzl (1895), che nel richiamo all’antico Stato di Israele e alla comune appartenenza religiosa ebraica coglie un potente fattore di identità nazionale, nonché una fonte di energia spirituale in grado di mettere in moto e alimentare il desiderio del ritorno nella “terra dei padri”. 
La storia antica degli ebrei, d’altronde, è stata segnata da ripetuti allontanamenti e successivi ritorni nella “terra promessa”, a partire dalla promessa originaria, fatta dal Signore ad Abramo (Genesi, 12,1-12,2): 
“Il Signore disse ad Abram: «Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, nel paese che io ti mostrerò. Io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome, e diventerai una benedizione.” 
Successivamente, nel versetto 12,5 di Genesi, si specifica qual era il paese, che il Signore aveva assegnato ad Abram e alla sua discendenza: 
“E Abram prese Sarai sua moglie e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che avevano accumulato e le persone che si erano procurate in Carran, e partirono per andarsene nel paese di Canaan. Così essi giunsero nel paese di Canaan.” 
La tribù alla quale Abram apparteneva, era formata di pastori nomadi. Il padre di Abram, Terach, era vissuto per molti anni ad Ur dei Caldei (nel Sud dell’Iraq), e insieme alla famiglia a un certo momento aveva deciso di trasferirsi nel paese di Canaan (ma non per chiamata divina), che però non aveva raggiunto perché aveva deciso di fermarsi a Carran, dove Dio si rivelò ad Abram, come già visto. 

Su Canaan, e sui cananei, cioè i discendenti di Canaan, gravava una maledizione che risaliva ai tempi di Noè. Infatti paese di Canaan (attuale area siro-palestinese) significa paese appartenente a Canaan, che era nipote di Noè, che aveva avuto tre figli: Sem, Cam, e Iafet, che ripopolarono la terra dopo il diluvio. Canaan era figlio di Cam. 
Vediamo in quali circostante è caduta su Canaan la maledizione di Noè (Gen 9,20-9,27): 
“Dunque Noè, che era un agricoltore, cominciò a piantare una vigna; bevve del vino e si ubriacò, e giacque nudo in mezzo alla sua tenda. Cam, padre di Canaan, vide la nudità di suo padre e andò ad avvertire i suoi due fratelli. Sem e Iafet presero un mantello, se lo misero sulle spalle e camminando all’indietro coprirono la nudità di loro padre; dal momento che avevano i volti rivolti dalla parte opposta, non videro la nudità del padre. Quando Noè si svegliò dalla sua ebbrezza, seppe quanto gli aveva fatto il figlio minore, e disse: «Maledetto sia Canaan! Schiavo degli schiavi sarà per i suoi fratelli!». Poi disse: «Benedetto sia il Signore, il Dio di Sem, e sia Canaan suo servo. Dio renda florido Iafet e dimori nelle tende di Sem e sia Canaan suo servo!».” 
Noè maledice il figlio Cam nel nipote Canaan, condannandolo, insieme alla sua discendenza, ad essere servo di Sem: il Signore, è il Dio di Sem, e di Iafet, non di Cam, che risulta stranamente (per noi!) “scomunicato”, e per sempre fuori dalla grazia del Signore. 
Se infatti esaminiamo l’albero genealogico di Cam e di Sem, notiamo che dal primo discendono i popoli con i quali gli ebrei si scontrarono fin dal primo ingresso nel paese di Canaan, e poi nei successivi ritorni: 
“I figli di Cam furono: Kush, Mitsraim, Put e Canaan (Gen 10, 6)”. E quali furono i figli di Canaan? “Canaan generò Sidon, suo primogenito, e Het, e i Gebusei, gli Amorei, i Ghirgasei, gli Hivvei, gli Archei, i Sinei, gli Arvadei, i Tsemarei e gli Hamathei. Poi le famiglie dei Cananei si dispersero. E i confini dei Cananei andarono da Sidon, in direzione di Gerar, fino a Gaza; e in direzione di Sodoma, Gomorra, Adma e Tseboim, fino a Lesha. Questi sono i figli di Cam, secondo le loro famiglie, secondo le loro lingue, nei loro paesi, nelle loro nazioni.” (Gen 10,15-10,20) 
Cananei sono dunque tutti i popoli, riconducibili a Canaan, contro i quali i discendenti di Abramo mossero guerra, affinché la promessa del Signore si adempisse. 

Se poi vogliamo dare un’occhiata alla genealogia del patriarca Abramo, costatiamo che egli discende direttamente da Sem attraverso Eber: 
“Questa è la discendenza di Sem.” (Gen 11,10) Sem generò Arpakshad, Arpakshad generò Sela, Sela Eber (da cui deriva la parola “ebreo”, discendente di Eber), e poi Peleg, Reu, Segur, Nacor, Terach, che infine ebbe tre figli: Abram, Nacor, Haran. (Cfr. Gen 11, 11-11,26) 
Dunque Abram è discendente di Eber, e ancora prima di Sem. Gli altri popoli nemici, che occupavano la terra promessa dal Signore ad Abram, discendevano da Canaan, sul quale era ricaduta la maledizione inflitta da Noè a Cam, uno dei suoi figli. 
Certo si tratta di una ricostruzione del rapporto degli ebrei con gli altri popoli già insediati nella terra promessa, operata a fatto compiuto, che però vuole rendere conto della loro inimicizia insanabile, ma anche della legittimità dell’insediamento abramitico nel paese di Canaan, dopo avere lasciato la così remota Ur dei Caldei: “A quel tempo si trovavano nel paese i Cananei. Allora il Signore apparve ad Abram e gli disse: «Io darò questo paese alla tua discendenza».” (Gen 12,7-12,8) 
Ma anche il seguente passo, in cui il Signore ribadisce la sua promessa, è emblematico (Gen 13,14-13,18): “Allora il Signore disse ad Abram, dopo che Lot si fu separato da lui: «Alza ora i tuoi occhi, e dal luogo dove ti trovi volgi lo sguardo a nord e a sud; a est e a ovest. Tutto il paese che tu vedi io lo darò a te e alla tua discendenza, per sempre. E renderò la tua discendenza come la polvere della terra; per cui, se qualcuno può contare la polvere della terra, si potrà contare anche la tua discendenza. Sollevati, percorri il paese in lungo e in largo, perché io lo darò a te». Allora Abram levò le sue tende e venne ad abitare presso le querce di Mamre, che sono a Ebron; e là costruì un altare al Signore.” 
E’ per sempre che il signore dà il paese di Canaan ad Abram, e alla sua discendenza. E’ indiscutibile la risonanza emotiva fortissima che versetti del genere possono avere esercitato ed esercitare sui militanti del sionismo, che paiono fornire altresì un fondamento di legittimità non solo al ritorno, ma allo stesso progetto di una Palestina esclusivamente ebraica! 

D’altra parte, se gli ebrei sono tornati in Palestina nel secolo XX, dopo quasi duemila anni dalla “diaspora” avvenuta sotto l’imperatore Tito (73 d. C.), dobbiamo pure ricordare che già dopo Abramo erano stati costretti a lasciare la terra promessa, come annuncia il Signore ad Abramo (Gen 15,12-15,21): 
“Verso l’imbrunire, un profondo sonno cadde su Abram; ed ecco, un profondo e oscuro terrore si impadronirono di lui. Allora il Signore disse ad Abram: «Sappi che i tuoi discendenti dimoreranno come stranieri in un paese che non sarà loro, e vi saranno fatti schiavi e vi saranno oppressi per quattrocento anni. Ma io giudicherò la nazione di cui saranno stati schiavi; dopo di ciò, essi ne usciranno con grandi ricchezze. Quanto a te, andrai in pace presso i tuoi padri, e sarai sepolto dopo una serena vecchiaia. Ma alla quarta generazione torneranno qui, perché l’iniquità degli Amorei non è ancora giunta al colmo». […] In quel giorno il Signore concluse questa alleanza con Abram, dicendo: «Io do alla tua discendenza questo paese, dal fiume d’Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate: i Kenei i Kenizei, i Kadmonei, gli Hittei, i Perezei, i Refei, gli Amorei, i Cananei, i Ghirgasei e i Gebusei».” 
Ma il sigillo definitivo della promessa, che prende la forma di un’alleanza e di un patto vero e proprio, si ha quando il Signore rassicura Abram, e placa le sue ansie, legate alla sterilità della moglie Sarai, già anziana: (Gen 17, 1-17,5): 
“Quando Abram ebbe novantanove anni, il Signore gli apparve e gli disse: «Io sono il Dio onnipotente; cammina alla mia presenza, e sii integro; e io stabilirò con te la mia alleanza e moltiplicherò grandemente la tua discendenza». Allora Abram si prostrò con la faccia a terra, e Dio gli parlò, dicendo: «Quanto a me, ecco io stringo con te un’alleanza: tu diventerai padre di una moltitudine di nazioni. E non sarai più chiamato Abram, ma il tuo nome sarà Abramo, perché io ti faccio padre di una moltitudine di nazioni.” 
E al versetto 17,8 il Signore ribadisce il diritto di Abramo e della sua discendenza sulla terra di Canaan (l’attuale Palestina): 
“E a te e alla tua discendenza darò il paese dove ora sei straniero: tutto il paese di Canaan, in possesso perenne; e sarò il vostro Dio”. 
Poi Dio annuncia ad Abramo che la moglie avrà un figlio, la cui discendenza è lo stesso popolo di Israele (17,15-17,16): 
“Poi Dio disse ad Abramo: «Quanto a Sarai, tua moglie, non la chiamare più Sarai, ma il suo nome sarà Sara. E io la benedirò, e anche da lei ti farò avere un figlio. Io la benedirò, e da essa si genereranno nazioni, da lei nasceranno re di popoli».” 
Sarà partorì un figlio ad Abramo, chiamato Isacco. Quando Abramo era molto vecchio, e il figlio era già in età di matrimonio, chiamò a sé un servo, e gli fece fare un giuramento (Gen 24,2-24,4): 
“Abramo disse al servo più anziano di casa che aveva il governo su tutti i suoi beni: «Metti la tua mano sotto la mia coscia; e io ti farò giurare per il Signore, il Dio dei cieli e il Dio della terra, che tu non prenderai per moglie a mio figlio nessuna delle figlie dei Cananei, in mezzo ai quali io dimoro, ma andrai al mio paese, in mezzo alla mia gente, a prendere una moglie per mio figlio, per Isacco».” 
E il servo partì per la Mesopotamia, e fra la gente di Abramo incontrò Rebecca, donna molto bella, che non aveva conosciuto uomo, che divenne la sposa di Isacco (Gen 24,59-24,60): 
“Così lasciarono andare loro sorella Rebecca e la sua balia col servo di Abramo e i suoi uomini. E benedissero Rebecca e le dissero: «Sorella nostra, possa tu divenire madre di stirpi sconfinate, e possa la tua discendenza conquistare le città dei nemici».” 
L’alleanza di Abramo e della sua discendenza con il Signore, si configura come un’ alleanza del Signore  con il “sangue” di Abramo, che esclude tutti gli altri, a partire dalla maledizione di Noè a Canaan, figlio di Cam, che fece della stirpe di Cam una stirpe maledetta. 
Isacco ebbe due figli da Rachele, Esaù e Giacobbe, con il quale ultimo il Signore rinnovò l’alleanza stipulata con Abramo (Gen 32, 28): 
“Allora questi [il Signore] disse: «Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele, poiché hai lottato con Dio e con gli uomini, e hai vinto».” 
Israele è dunque il nome dato dal Signore a Giacobbe, così come al popolo che da lui discenderà, e alla stessa terra di Canaan (o anche Palestina), in quanto terra promessa (Gen 35,9-35,12): 
“Dio apparve ancora a Giacobbe mentre tornava da Paddan-Aram, e lo benedisse. E Dio gli disse: «Il tuo nome è Giacobbe; tu non sarai più chiamato Giacobbe, ma il tuo nome sarà Israele». E gli mise nome Israele. Quindi Dio gli disse: «Io sono il Dio onnipotente; sii fecondo e moltiplica la tua gente; una nazione, anzi un insieme di nazioni discenderanno da te, e dei re usciranno dai tuoi fianchi. A te e alla tua discendenza darò il paese che diedi ad Abramo e a Isacco».”

A partire da questo momento la terra dei Cananei e dei Filistei (che incontreremo tra poco, da cui deriva il termine Palestina), sarà la terra di Israele -Giacobbe, e dunque metonimicamente Israele. Da una parte la discendenza benedetta di Sem, Eber, Abramo, Giacobbe-Israele, e così via; dall’altra la discendenza maledetta di Cam, Canaan, e le varie nazioni che da loro discese, che gli israeliti cacceranno sotto la guida del Signore. Ma continuiamo. 
Giacobbe ebbe dodici figli (capostipiti delle dodici tribù di Israele), i cui nipoti finiranno schiavi in Egitto (come già il Signore aveva annunciato ad Abramo), prima che si compisse la promessa dell’alleanza. 
Dopo quattrocento anni di schiavitù in Egitto, la discendenza di Abramo, che possiamo chiamare Ebrei (da Eber) o Israeliti (da Giacobbe, detto Israele in quanto “forte in Dio”), tornò nella “Terra promessa”, ma non come popolo ospite, ma conquistatore, sotto la guida del Signore. 
Il Signore infatti si rivela a Mosè (Es 3,6-3,10): 
“E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio. Il
Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Hittita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo. Ora dunque il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto l’oppressione con cui gli Egiziani li tormentano. Ora va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». 
Da notare la potente immagine mitica del “paese dove scorre latte e miele”, che il Signore aveva assegnato, al momento della stipulazione originaria dell’alleanza eterna, ad Abramo e alla sua discendenza, che ora è chiamata degli “israeliti”, cioè dei discendenti di Israele, ovvero Giacobbe, il figlio di Isacco, il nipote di Abramo. 
Ma non sarà Mosè a condurre Israele nella terra di Canaan, ma Giosuè (GS 1,1-1,5): 
“Dopo la morte di Mosè, servo del Signore, il Signore disse a Giosuè, figlio di Nun, servo di Mosè: «Mosè mio servo è morto; orsù, attraversa questo Giordano tu e tutto questo popolo, verso il paese che io dò loro, agli Israeliti. Ogni luogo che calcherà la pianta dei vostri piedi, ve l’ho assegnato, come ho promesso a Mosè. Dal deserto e dal Libano fino al fiume grande, il fiume Eufrate, tutto il paese degli Hittiti, fino al Mar Mediterraneo, dove tramonta il sole: tali saranno i vostri confini. Nessuno potrà resistere a te per tutti i giorni della tua vita; come sono stato con Mosè, così sarò con te; non ti lascerò né ti abbandonerò.” 
Il Signore è il garante della vittoria irresistibile degli Israeliti sopra tutti i popoli che abitavano nella terra che Egli aveva assegnato loro (Gs 3,10): 
“Continuò Giosuè: «Da ciò saprete che il Dio vivente è in mezzo a voi e che, certo, scaccerà dinanzi a voi il Cananeo, l’Hittita, l’Eveo, il Perizzita, il Gergeseo, l’Amorreo e il Gebuseo.” 
E’ il Signore stesso alla guida dell’ esercito degli Israeliti, mentre si preparano ad assediare Gerico (GS 5,13-5,15): 
“Mentre Giosuè era presso Gerico, alzò gli occhi ed ecco, vide un uomo in piedi davanti a sé che aveva in mano una spada sguainata. Giosuè si diresse verso di lui e gli chiese: «Tu sei per noi o per i nostri avversari?». Rispose: «No, io sono il capo dell’esercito del Signore. Giungo proprio ora». Allora Giosuè cadde con la faccia a terra, si prostrò e gli disse: «Che dice il mio signore al suo servo?». Rispose il capo dell’esercito del Signore a Giosuè: «Togliti i sandali dai tuoi piedi, perché il luogo sul quale tu stai è santo». Giosuè così fece.” 
E il  Signore mise Gerico nelle mani di Giosuè e del suo popolo facendone crollare le mura (GS 6,20-21): 
“Allora il popolo lanciò il grido di guerra e si suonarono le trombe. Come il popolo udì il suono della tromba ed ebbe lanciato un grande grido di guerra, le mura della città crollarono; il popolo allora salì verso la città, ciascuno diritto davanti a sé, e occuparono la città. Votarono poi allo sterminio, passando a fil di spada, ogni essere che era nella città, dall’uomo alla donna, dal giovane al vecchio, e perfino il bue, l’ariete e l’asino.” 
La stessa sorte toccò alla città di Ai (Gs8,23-8,29): 
“Il re di Ai lo presero vivo e lo condussero da Giosuè. Quando Israele ebbe finito di uccidere tutti i combattenti di Ai nella campagna, nel deserto, dove quelli li avevano inseguiti, e tutti fino all’ultimo furono caduti sotto i colpi della spada, gli Israeliti si riversarono in massa in Ai e la colpirono a fil di spada. Tutti i caduti in quel giorno, uomini e donne, furono dodicimila, tutti di Ai. […] Gli Israeliti, secondo l’ordine che il Signore aveva dato a Giosuè, trattennero per sé soltanto il bestiame e il bottino della città. Poi Giosuè incendiò Ai e ne fece una rovina per sempre, una desolazione fino ad oggi. Fece appendere il re di Ai ad un albero fino alla sera. Al calar del sole Giosuè comandò che il suo cadavere fosse calato dall’albero; lo gettarono all’ingresso della porta della città e vi eressero sopra un gran mucchio di pietre, che dura fino ad oggi.” 
Poi Giosuè dovette affrontare una coalizione di Hittiti, Amorrei, Cananei contro Israele. gente di guerra e tutti i prodi guerrieri. ”Allora il Signore disse a Giosuè: «Non aver paura di loro, perché li metto in tuo potere; nessuno di loro resisterà davanti a te».” (Gs10,8) 
E poi conquistò Makkeda, Libna, Lachis, Eglon, Ebron, che “presero e la passarono a fil di spada con il suo re, tutti i suoi villaggi e ogni essere vivente che era in essa; non lasciò alcun superstite; come aveva fatto ad Eglon, la votò allo sterminio con ogni essere vivente che era in essa.” 
Ricapitolando, “Giosuè batté tutto il paese: le montagne, il Negheb, il bassopiano, le pendici e tutti i loro re. Non lasciò alcun superstite e votò allo sterminio ogni essere che respira, come aveva comandato il Signore, Dio di Israele.” (Gs10,40) 
 Così si adempie la promessa dell’alleanza tra Abramo e il Signore: la terra di Canaan è ora terra di Israele, assegnata da Dio al suo popolo, che è popolo per alleanza, ma anche per discendenza di sangue, secondo un criterio strettamente etnico. 
Ma sappiamo che dai dodici figli di Giacobbe-Israele discendono le dodici tribù di Israele, tra cui assunse importanza quella di Giuda (da cui il termine giudeo, e giudaismo), e sappiamo pure che la federazione tribale divenne monarchia sotto Saul, al quale seguirono Davide, e Salomone. 
Alla gloria del regno di Salomone seguì però un plurisecolare declino, in cui il popolo di Israele si allontanò dal Signore, che lo punì. La monarchia si divise infatti in due Stati, in lotta tra loro: Giuda e Samaria. Sorsero grandi imperi ai loro confini, che infine li conquistarono deportando il popolo di Israele. 
Torna dunque a ripetersi il ciclo delle espulsioni, e dei ritorni, dopo i primi due: 1. emigrazione di Abramo da Ur dei Caldei alla terra di Canaan; 2. emigrazione dei discendenti di Abramo dalla terra di Canaan in Egitto e relativa schiavitù, liberazione dalla schiavitù d’Egitto e ritorno nella terra di Canaan sotto la guida di Mosè e poi di Giosuè; 3. conquista dello Stato di Giuda da parte del babilonese Nabucodonosor, con la caduta di Gerusalemme (587 a.C.), la distruzione del tempio e la deportazione degli Israeliti a Babilonia; e ritorno nella terra promessa circa cinquanta anni dopo, sotto il regno dell’ imperatore persiano Ciro il Grande (538 a. C.), con la ricostruzione del tempio di Gerusalemme, segno che il Signore non aveva abbandonato il suo popolo, poiché l’alleanza è eterna, e al castigo segue la riconciliazione e la rinnovata benevolenza del Signore. 
Ma dopo il terzo ritorno, gli israeliti persero comunque la loro indipendenza politica, anche se poterono rimanere nella terra dei patriarchi, concessa loro dal Signore, e secondo le prescrizioni della Torah, ma in condizioni difficili, prima come provincia dell’impero persiano, poi dell’impero ellenistico, e infine di quello romano, sotto il  quale, in seguito all’ennesima rivolta, avvenne la diaspora degli ebrei dalla Palestina (così i romani chiamavano la terra di Israele, che era diventata provincia romana). 
Nel corso di tre successive guerre (dette Guerre giudaiche, 66-72 d.C., 115-117 d.C., 132-135 d.C.), non soltanto Roma distrusse il tempio di Gerusalemme, e stroncò definitivamente l’irredentismo religioso ebraico, ma la stessa popolazione israelita fu costretta a lasciare in massa la “terra promessa”, che dunque si romanizzò, per poi cristianizzarsi, e infine islamizzarsi quando l’esercito del Profeta entrò a Gerusalemme nel 637 d. C. 
Con la diaspora inizia un quarto ciclo di allontanamento-espulsione del popolo di Israele dalla terra promessa dal Signore ad Abramo, e alla sua discendenza per sempre, che nella logica stessa dell’alleanza avrebbe dovuto essere seguita da un ritorno “messianico”, sotto la guida di un capo mandato dal Signore, paragonabile a Mosè, o di un re appartenente alla discendenza di Davide, che era stato consacrato dal profeta Samuele per volontà del Signore, e che aveva sconfitti i Filistei, e altre nazioni nemiche del popolo eletto. Questo Messia avrebbe liberato il popolo dalla schiavitù di Roma, così come aveva fatto Mosè a suo tempo. Sappiamo che la storia non andò così, e che gli ebrei andarono raminghi per il mondo, dispersi in piccole comunità per più di 1700 anni. 
Ma si può dire che alla espulsione degli ebrei dalla Palestina durante le guerre giudaiche (diaspora), sarebbe seguito un ritorno nella “terra promessa”, dato che l’ alleanza del Signore con la discendenza di Abramo è eterna, e il Signore non abbandonerà mai il suo popolo? 
Il ritorno in Palestina, patrocinato dal sionismo e sponsorizzato dalle maggiori potenze coloniali europee tra Ottocento e Novecento, è forse il segno della riconciliazione del Signore con il suo popolo? E’ dunque l’ennesimo ritorno, e l’adempimento della promessa fatta dal Signore al popolo di Israele? 
Non c’è dubbio che il movente messianico è sempre stato molto forte in tutte le rivolte ebraiche contro Roma, e non è mancato nemmeno nel sionismo. La retorica messianica poi è ampiamente utilizzata dai partiti di estrema destra (ebrei ultraortodossi), alleati con il partito di Netayahu, e la stessa guerra dello Stato di Israele contro Hamas pare echeggiare di tutte le guerre che i discendenti di Abramo hanno condotto contro Cananei, Filistei e altri popoli affini, per insediarsi nella terra della promessa. 
D’altra parte, lo stesso ritorno degli ebrei in Palestina, la stessa nascita dello Stato di Israele hanno qualcosa di miracoloso. Dall’inizio della diaspora (70 d. C.), alla dichiarazione Balfour (1917), sono trascorsi più di 1800 anni. Se poi consideriamo che il regno di Giuda fu conquistato dai babilonesi nel 587 a.C., fa venire i brividi pensare che dopo più di 2500, uno Stato di Israele sia risorto in quelle terre. 
Che poi questo Stato non sia davvero laico, ma etnico e “israelita” (riservato ai discendente di Giacobbe, detto Israele), è una conseguenza della logica dell’alleanza tra Abramo e il Signore, e lo dimostra la sistematicità con cui ha portato avanti, anche in modo feroce, la completa espulsione degli arabi palestinesi. L’ ultimo atto pare essere la guerra contro la popolazione di Gaza, mirata a costringerla a un esodo di massa. 
Certo, la logica dell’alleanza, che il Signore ha stipulato con il popolo di Abramo, un’ alleanza eterna, se la si considera operante nelle letteralità del processo storico, può condurre a interpretare messianicamente il ritorno ebraico in Palestina, e il Sionismo stesso come un compimento della promessa, legittimato teologicamente nelle sue pretese. 
Ma con ciò Israele non sarebbe più uno Stato laico, ma una repubblica teocratica, del tutto equiparabile alla repubblica islamica dell’Iran. 
Un cristiano, comunque, non sarebbe affatto vincolato ad aderire a un tale inquietante fondamentalismo ebraico, anche se una corrente di pensiero cristiano, chiamato sionismo cristiano, che rimarca le radici ebraiche del cristianesimo, interpreta la fondazione dello Stato di Israele come un evento messianico. 
Tale sionismo cristiano è molto diffuso tra i cristiani evangelici degli USA, dove la lobby ebraica è saldamente legata alla destra cristiana conservatrice, al Partito repubblicano, e alle Chiese protestanti. Ma siamo arrivati al presente, in cui la religione è un elemento della lotta politica, e dei giochi di potere.  

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Carletto Romeo