Carletto Romeo
Sesso e genere
A PROPOSITO DELL’ART. 1 e 4 DEL DDL ZAN
Senza essere specialisti nel campo del diritto e degli studi di genere, non si può non essere perplessi sugli articoli 1 e 4 del ddl Zan, e dunque non condividere almeno in parte le critiche di cui è oggetto.
Art. 1. (Definizioni) 1. Ai fini della presente legge:
a) per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico;
b) per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso;
c) per orientamento sessuale si intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi;
d) per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dal l’aver concluso un percorso di transizione.
Art. 4. (Pluralismo delle idee e libertà delle scelte)
- Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime ri conducibili al pluralismo delle idee o alla li bertà delle scelte, purché non idonee a de terminare il concreto pericolo del compi mento di atti discriminatori o violenti.
Le definizioni dell’articolo 1 del ddl Zan danno per acclarati concetti e definizioni che, come afferma Andrea Venanzoni – nell’art. reperibile al seguente indirizzo web:
– “esulano del tutto dall’orizzonte del diritto innervandosi invece nelle prospettive della psicologia, della antropologia, della sessuologia, concetti accademici su cui ferve dibattito e scarseggia univocità definitoria.”
Si tratta dunque di concetti e definizioni, che hanno una forte connotazione ideologica (“scarseggia univocità definitoria”), e fragile base scientifica. Ne è indizio la formula di chiusura del comma b): “aspettative sociali connesse al sesso”.
A questo riguardo, il suddetto Venanzoni commenta: “Cosa è mai, infatti, l’identità di genere se non un concetto su cui ferve un acceso dibattito in sede accademica? Davvero si può trasformare in presupposto concettuale di una sanzione penale un elemento su cui manca sostanziale concordia e univocità tra gli esperti e gli studiosi e su cui la Corte costituzionale, pur richiamata da Zan, non ha preso posizione strutturata?”
Mi pare che l’art. 1 dia per scontato che il rapporto tra sesso e genere sia del tutto arbitrario, mera conseguenza di aspettative sociali, implicitamente nel solco della cosiddetta “teoria queer” (si consulti Wikipedia per una preliminare delucidazione del concetto), secondo la quale il genere e l’identità di genere sarebbero un costrutto sociale, e non dipenderebbero dal sesso.
Essere “femmina” o “maschio” sarebbe naturale o biologico, ma non donna o uomo, che sarebbero nella sostanza “ruoli appresi”, in modo performativo.
Radicalmente “performativa” è infatti la teoria queer di Judith Butler, docente all’università di Berkeley (si consulti ancora Wikipedia o altro testo), secondo la quale “il genere è una costruzione sociale o culturale” (Zupančič, Alenka. Che cosa è il sesso? (Italian Edition) (posizioni nel Kindle 853-854). Ponte alle Grazie. Edizione del Kindle.),
il che implica che niente “pre-esiste: le pratiche socio-simboliche di discorsi diversi e dei loro antagonismi creano le «essenze» o i fenomeni che devono regolare.” (Zupančič, Alenka. Che cosa è il sesso? (Italian Edition) (posizioni nel Kindle 858-859). Ponte alle Grazie. Edizione del Kindle.)
Nulla di più controverso di questo approccio, che riduce il genere e l’identità di genere a un codice di comportamento appreso e interiorizzato, pirandellianamente a una maschera. Eppure, il ddl Zan abbraccia questa ideologia, quando riduce il genere a risultato di “aspettative sociali”.
E’ davvero strano che in un’epoca in cui si ricorre sempre, come “ultima ratio”, alla massima “lo dice la scienza”, quando si parla di sesso, genere e omosessualità, questo riferimento è assente.
Allora, sorge il sospetto che il ddl Zan non metta solo a repentaglio la libertà, per il fatto che non si capisce come una “libera espressione di convincimenti ed opinioni” (art. 4 del ddl) possa risultare idonea “a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”: chi, e secondo quale criterio, fisserebbe il “discrimine”?
Non è già lesivo e contraddittorio presupporre che una libera espressione di convincimenti ed opinioni possa essere censurabile e perseguibile penalmente? Come è possibile equiparare convincimenti e opinioni a insulti, molestie verbali, oltraggi, incitamenti all’odio?
Sorge il sospetto che voglia altresì fare passare una certa ideologia, relativamente alla sessualità, che abbiamo richiamato usando l’etichetta identificativa di “teoria queer”.
Una teoria che non si limita a tutelare “le minoranze sessuali”, ma si propone di scardinare la stessa natura “bipolare” dell’identità di genere, articolata in maschile e femminile, sulla base dell’assunto ideologico – non dimostrato scientificamente – che “maschile” e “femminile” sarebbero in fondo costrutti sociali, “ruoli appresi” secondo un copione recitato, che crea “l’identità” nel corso dell’esecuzione, della “performance”.
Il fatto che vi sia un ampio margine di variabilità culturale e storica nella complessa costellazione di ciò che è femminile e maschile, secondo un intreccio molto complesso e intricato tra fattori naturali e culturali, non significa che si tratti di costrutti arbitrari, non radicati nella natura umana, manipolabili a piacere, come si corre il rischio di fare negli “asili gender”, o dando per scontato che sia indifferente che le figure genitoriali di un bambino sia un uomo e una donna o due donne o due uomini, e così via.
Non sarebbe inutile – credo – una concisa infarinatura intorno a quello che la genetica, l’embriologia e le neuroscienze hanno da dirci su sesso e genere. Magari, nel prossimo articolo.
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“Sono tre le principali modifiche alla normativa già esistente richieste dal ddl Zan. La prima riguarda l’aggiunta dei reati di discriminazione basati “sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere o sulla disabilità” all’articolo 604-bis e 604-ter del codice penale, che puniscono l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi “razziali, etnici, religiosi o di nazionalità”.
tre le principali modifiche alla normativa già esistente richieste dal ddl Zan.
L’articolo 1 introduce e definisce i termini sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere, come suggerito dalla Commissione affari costituzionali, per evitare qualunque ipotesi di incostituzionalità della legge.
L’articolo 4 è dedicato alla salvaguardia della libertà di opinione e di scelta, per tutelare la libertà di parola e recita “sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. Ossia, la libertà di espressione non deve mai sconfinare nell’istigazione all’odio e alla violenza.”
Dispositivo dell’art. 604 bis Codice Penale
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito:
a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;
b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni.
Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se la propaganda ovvero l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull’apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale(1).
Caso mai sorgano dubbi a riguardo, tali sono gli articoli di legge.
Di volta in volta, caso per caso, verrà valutato da un Tribunale quanta differenza intercorre tra una libera espressione di pensiero e un’istituzione all’odio e facendo un passo indietro, nonostante esista la legge, c’è ancora chi dice che gli ebrei non sono mai stati bruciati nei campi di concentramento. Ebbene, forse sì, in questi casi è assolutamente necessario che intervengano anche altre figure professionali come gli psichiatri. Cosa intendo dire? Che probabilmente si è reso necessario allargare le fasce colpite dall’odio per i fatti di cronaca indubbi, continui e documentabili. L’odio e la violenza non vanno mai giustificati. Se invece si vuol parlare di cosa si intenda per famiglia, sulle figure educative ed affettive più idonee o più adatte a un bambino… possiamo aprire un altro dibattito in un altro articolo, ben volentieri.
Cordialmente, Daniela Rullo.
Tu affermi che “Di volta in volta, caso per caso, verrà valutato da un Tribunale quanta differenza intercorre tra una libera espressione di pensiero e un’istigazione all’odio […].”
Allora, vediamo quel che accade in paesi dove già vige una tutela giuridica forte contro discriminazioni e istigazioni a commettere discriminazioni basate “sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”.
Ti rimando a un articolo del 2019 uscito sul “Fatto quotidiano” (https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/12/21/j-k-rowling-la-scrittrice-di-harry-potter-sui-social-e-accusata-di-transfobia-ecco-che-cosa-ha-scritto-e-perche/5631779/?fbclid=IwAR1w_eFolw6aMgy_AH8eUhEgJdOvmMECLBjIkah-VYg2V5AWQ6tcDAWRt1Q), che fornisce qualche dato di cronaca sulle vicissitudini giudiziarie che hanno coinvolto la ricercatrice Maya Forstater e la scrittrice J. K. Rowling.
In breve, la “ricercatrice Maya Forstater, [è stata] licenziata dall’organizzazione contro la povertà, il Centre for Global Development, per aver sostenuto che il sesso biologico è un dato oggettivo e che le donne transessuali non sono vere donne e aver criticato pubblicamente il piano del Governo che vuole consentire alle persone di dichiarare liberamente la propria identità sessuale, in base alla loro preferenza personale. La ricercatrice si è opposta al licenziamento e la questione è finita al tribunale del lavoro, che ha respinto l’istanza della ricercatrice ritenendo che le sue parole sono state ‘incompatibili con la dignità umana e con i diritti fondamentali degli altri’.
La Rowling, intervenuta a difesa di Maya Forstater, è stata subissata di critiche e accuse, bollata con il marchio d’infamia di transfobia, eccetera.
Come vedi, siamo davanti a un caso concreto, dove il “purché non idonee” dell’art. 4 del ddl Zan, viene generosamente intepretato da un tribunale del lavoro inglese: dire che il sesso bilogico è un fatto oggettivo “non sarebbe idoneo”, opporsi a una legge che vorrebbe ricondurre l’identità sessuale a una questione di preferenzza, “non sarebe idoneo”, e così via.
Ti potrei riportare altri vicende simili, ma mi pare che l’esempio fatto sia paradigmatico di un rischio concreto che il mero convincimento espresso pubblicamente venga interpretato come istigazione, sulla base di una inedita intolleranza alla rovescia, di un nuovo dogmatismo fanatico che non tollera la visione alternativa, tradizionale.
C’è un risentimento delle cosiddette minoranze sessuali, indubbiamente oppresse per secoli, che trasuda odio, che vuole vendicarsi dei torti patiti rovesciando i rapporti di forza, per farsi il mondo a propria immagine e somiglianza.