Carletto Romeo
Ripezzed
CAPITOLO PRIMO
Sabato pomeriggio ore 16.20… giretto quotidiano con surf e bella brezzolina da SUD, SUD-EST… dopo una strambata la pur gloriosa tavola “Frensis” subisce un cedimento strutturale con rottura del piede d’albero e, come nelle comiche + tradizionali, rimango sospeso a pelo d’acqua con il boma in mano e la tavola partita per la tangente… poco male se non fosse che la mitica vela Hot Sails 5.2 versione “Ripezzed” introvabile sul mercato e conosciuta al mondo come “l’inaffondabile”, per un caso unico al mondo, mix perfetto tra fatalità e fisica quantistica, cade a piombo in acqua e si inabissa così velocemente da impedirmi ogni + disperato recupero, andando a sdraiarsi dolcemente in soli 7,3 secondi netti sul fondale sabbioso ad una profondità di 11,48 mt: distesa laggiù a far il solletico alle “pettinisse” ed a scomodare i “pruppi”, integra, splendente col suo arancione e giallo, Titanic dei poveri e ahimè non + “inaffondabile”…
Subito parte l’allarme della protezione civile, con elicotteri, incursori della marina e cani terranova, ma questo è un lavoro da risolvere romanticamente con mezzi propri e… viene rimessa in acqua dopo il letargo invernale la pur sempre “disponibile” Bubba Gump Gamberi… i soccorritori al mio fianco diventano 3, ognuno di essi specialista in recuperi disperati con alle spalle una carriera spesa al servizio della collettività (Gimenes, Kakku e Martinellu)… giunti non senza difficoltà sulle coordinate del disastro, i nostri eroi devono abbandonare le ricerche visto il calare dell’oscurità, lasciando così per la prima volta la “Ripezzed” a dormire fuori, al buio e a bagnomaria in compagnia di qualche tracina libidinosa.
Il giorno dopo è domenica mattina e di buon ora le ricerche riprendono, questa volta visto il giorno festivo devo fare a meno di palombari e sommozzatori e a bordo della pur sempre duttile tavola scuola di mastro Gaetano, inizio a perlustrare, pagaiata dopo pagaiata, lo specchio d’acqua dove secondo i miei calcoli avrebbe dovuto trovarsi il relitto… dopo circa 1 ora approfittando della favorevole luce solare e sua conseguente rifrazione sott’acqua, rinvengo la “non+inaffonadabile” all’altezza del delta del torrente Garino con riferimento all’ultimo pilone del pontile, circa 100 mt da riva… visibilità sott’acqua ottima, tanto da farmi pensare di provare subito il recupero… ma dopo solo un tentativo a soli 4 metri dalla superficie, una brusca variazione della temperatura dell’acqua con fortissima pressione alle orecchie, mi fanno demordere, rimandando al pomeriggio tutte le operazioni di salvataggio…
CONTINUA…
CAPITOLO SECONDO.
Al pomeriggio, dopo aver provato a seguire a pranzo la dieta specifica per i sommozzatori (tentativo miseramente fallito davanti ad un piatto di “cucuzzelle ripiene” e ad una coppia di meloncini col brandy)… puntualmente alle 15.00, armato di ogni genere di prima necessità, mi apprestavo a mettere in mare nuovamente la “Bubba” (quando ci vuole, ci vuole!) Condizioni meteo perfette, luminosità e vento favorevoli, ma destino beffardo, nella mia sacca “portatutto”, non ritrovo più l’indispensabile ancoretta da 5 kg che da anni non veniva rispolverata… torno di corsa a casa, la ritrovo in cantina e di corsa di nuovo al mare, dove a sorpresa ritrovo condizioni mare e vento cambiate: onde alte 2 mt e vento di Libeccio, costringono me e Bubba a rimanere sulla battigia attendendo tempi migliori… e intanto chissà “l’inaffondabile” cosa starà facendo?
Chissà se sta bene? chissà se è in ansia per me? chissà? passano 50 minuti e, nonostante il mare avverso, decido di varare comunque la barchetta. I suoi 3,20 metri si comportano sempre bene in acqua, nulla da eccepire, certo le cocozzelle e i meloncini con quell’ambaradan di flutti, non sono il massimo della vita, ma si sa, bisogna anche rischiare e dopo 20 minuti di “point break” arrivo di nuovo sulla zona della vela inabissata, che nel frattempo non si era mossa di un centimetro. Subito provo a bloccare Bubba con l’ancoretta tornata finalmente in dotazione al suo posto, ma il moto ondoso ed il vento sono tali che la poverina non riesce a fare il proprio mestiere e senza indugio alcuno viene subito rimpiazzata da un meno nobile, ma sicuramente più efficace, mattone in cemento… intanto al mio cellulare, debitamente preservato da schizzi e spruzzi con domopak pellicola (si proprio lei), sento arrivare raffiche di squilli e sms… preso dagli eventi e con l’adrenalina a mille, decido di non rispondere e, con Bubba ben fissata (non posso dire “ancorata” visto che a fissarla è un poco nobile mattone), mi immergo per la prima volta in questa seconda uscita. Questa volta però adopero un bel paio di pinne, ed una maschera (reperti quasi archeologici, rinvenuti in cantina mentre cercavo disperatamente l’ancoretta).
L’emozione di stare sott’acqua, proprio sopra il relitto è grande, la luce solare a quell’ora è particolare, nonostante il mare mosso la visibilità è ottima e… sorpresa, appena metto bene a fuoco (è il colmo farlo sott’acqua, lo so!) mi accorgo che il mattone-ancora è proprio adagiato sulla “inaffondabile” vela… certo volevo fermarmi il più vicino possibile, ma così era troppo! Con pazienza, risalgo sulla barca, per effettuare la manovra di sgancio, ma una volta tirata su la zavorra, mi accorgo che le condizioni mare stanno peggiorando: vento 20 nodi, onde lunghe e pericolose. Provo ancora a gettare più in là il mattone, ma subito realizzo che con questa trazione non c’è niente da fare, la barca viene comunque spostata e anche con violenza.
Per la terza volta sono costretto ad abbandonare il recupero e con Bubba faccio rientro al porto. Missione rimandata al giorno dopo, non senza una certa delusione, considerando che durante la seconda notte a bagnomaria a 11,48 mt di profondità le condizione per “l’inaffondabile” potrebbero radicalmente cambiare. Col mare bisogna però avere pazienza e così sarà!
Nottetempo verifico tutti i messaggi e le chiamate ricevuti al cellulare, tra di essi alcuni numeri a me sconosciuti, ma 2 con mittenti il ministro dell’ambiente e il capo della protezione civile, sinceramente afflitti per l’accaduto e pronti a spendere uomini e mezzi per il recupero. Sono stanco, decido per il momento di dormirci su, rimandando a domani decisioni sul da farsi e sugli aiuti da accettare. Esattamente alle 4.06 del mattino, il cellulare comincia a vibrare e a suonare “Axel F” di Harold Faltermeyer (è la suoneria che utilizzo da sempre per le chiamate intercontinentali in arrivo, con provenienza Stati Uniti).
Nonostante il mio sonno a prova di cannonate, il motivetto di Beverly Hills Cop però mi sveglia eccome… in dormiveglia, rem o qualunque altro status semi-comatoso, rispondo bofonchiando qualche strano suono gutturale al telefono e in un perfetto italiano dall’altra parte del mondo a parlare con me scopro addirittura James Cameron, che scusandosi per l’orario e con modi davvero garbati, senza indugio mi chiedeva ufficialmente i diritti per filmare e produrre la mia storia in collaborazione con l’ex moglie Kathryn Bigelow, sostenendo di voler ripetere nelle acque di Siderno tutto il lavoro del Titanic, ma stavolta con i nuovissimi marchingegni appena creati…
CONTINUA…
CAPITOLO TERZO.
Lasciando al gentile lettore il forte dubbio se la telefonata col regista del Titanic fosse sogno o realtà, il giorno dopo era lunedì mattina e, come da previsioni meteo, ecco il forte vento di Ponente. Inutile star qui a tediare coloro i quali hanno altre curiosità da sfamare, sulla inesattezza del termine Ponente utilizzata da sempre nella zona: primo perché viene scambiato tutto col fatto che il mare è calmo e pulito ma, peculiarità più importante, trascina tutto e tutti al largo… sin qui nulla di nuovo, ma spesso col termine Ponente (cioè provenienza OVEST) viene anche scambiato il Maestrale (provenienza NORD-OVEST) e perché no? anche la Tramontana (provenienza NORD)… detto questo e commettendo questo errore anche noi per simbiosi col posto, diremo che per tutto il lunedì, sulla zona regnò il vento di Ponente.
Anche i meno esperti sanno che con tali condizioni ogni uscita in acqua è sinonimo di pericolo, figuriamoci una missione così difficile e articolata come il recupero della “inaffondabile” vela… certo in tempi come i nostri, dove combatti tutti i giorni con spazzature varie, inquinamenti e acqua del mare batteriologicamente impura, il vento di Ponente è visto come una manna dal cielo, una panacea di tutti i mali che, “grazie al cielo”, Eolo, Manitu’ o qualunque altra entità benevola, tutto e tutti porta al largo (leggasi anche: rifiuti poco smaltiti dal processo di depurazione che poco depura! Sono stato molto leggero nella descrizione, lo so…), MA … e ripeto MA, proprio oggi non ci voleva… eh no proprio oggi, la giornata clou per le sorti della vela sfortunata… giornali, tivvù e networks, tutti in trepidante attesa di battere qualche notizia positiva, qualche semplice passo in avanti sul lungo percorso del rientro a casa e “all’asciutto” del rig ormai più famoso del web, con evidente strazio furono costretti a fugaci articoli di circostanza con unico titolo: “Vento di Ponente, operazioni di recupero rimandate!”
Complice una lunga fila all’ufficio postale sotto casa per le fatidiche operazioni del lunedì mattina, fino alle ore 14 non ebbi modo di verificare le condizioni di vento e mare. Finalmente, dopo un frugale brunch a base di friselle integrali, pomodorini pachino e provola Soresina (confesso di esserne ghiotto), alle 14.30 ero pronto sulla battigia a spiccare il volo (si fa per dire). Tutto mi era contrario, vento forte di Ponente (anche se era Tramontana fa niente, ne abbiamo già discusso), mare piatto si ma, altamente pericoloso visto il vento… ma la mia cocciutaggine è riconosciuta ed anche se conoscevo bene il pericolo e sapevo di non cavarne niente di buono, varai Bubba, che se di barche ne capisco, non stava attendendo altro!
Subito 2 caccia dell’Aeronautica militare passarono a pelo d’acqua più volte accanto a me, quasi ad intimarmi l’alt: pensai subito ad un intervento armato per distogliermi da quell’intento così sconsiderato, ma invece l’unica cosa che notai furono i gesti e le urla di un tipo con bandana verde che da riva faceva di tutto perché lo vedessi: tornai con 4 remate poderose indietro sui miei passi (non so se con una barca sia giusto esprimersi così) e quando gli fui vicino, finalmente lo riconobbi.
Era il mio amico Gimenes, che in primis provò con scuse futili a dissuadermi dall’impresa, poi convinto che le sue scuse futili non avrebbero convinto neanche se stesso, con un balzo felino, me lo ritrovai a proravia di Bubba, quasi a mo’ di capitano, a dettare gli ordini e le manovre da eseguire. “Non potevo lasciarti solo in un momento del genere” furono le sue parole e così, con Bubba grintosa più che mai, partimmo in direzione del luogo del misfatto.
CONTINUA
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