Carletto Romeo
Riflessioni sulla vicenda Lucano
Riflessioni sulla vicenda Lucano
Tra parassitismo e nuovi tabù. La dittatura del politicamente corretto.
Stando alla verità giudiziaria, che attribuisce agli imputati la responsabilità di avere commesso gravi reati penali (“associazione per delinquere, abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”), ricostruendo un quadro moralmente squallido della gestione delle risorse pubbliche destinate all’accoglienza dei migranti da parte di Domenico Lucano e del suo seguito, si possono fare alcune considerazioni generali, con le quali interpretare il fenomeno.
Ma invece di usare il lessico del diritto penale, opterei per il codice morale che usa Dante Alighieri nell’”Inferno”, dove i peccati sono raccolti e classificati in tre grandi gruppi: peccati di incontinenza, peccati di violenza, peccati di frode.
Sono le stesse motivazioni della sentenza a darci per così dire il link sul quale cliccare per approdare a Dante, quando parlano di “logica predatoria delle risorse pubbliche”, oppure “di meccanismi illeciti e perversi, fondati sulla cupidigia e avidità, che ad un certo punto hanno cominciato a manifestarsi in modo prepotente in quei luoghi e si sono tradotti in forme di vero e proprio arrembaggio ai cospicui finanziamenti che arrivavano …”.
E’ la lupa infatti che, nell’”Inferno”, incarna simbolicamente la logica predatoria, e tenta lo stesso Dante, a tal punto che senza un aiuto esterno egli sarebbe ricaduto nel peccato, fino alla perdizione:
“Ed una lupa, che di tutte brame / sembiava carca ne la sua magrezza, / e molte genti fé già viver grame, / questa mi porse tanto di gravezza / con la paura ch’uscia di sua vista, / ch’io perdei la speranza de l’altezza.”
Dante perse la speranza dell’altezza, vale a dire della purificazione nel Bene, appunto perché la lupa è irresistibile, ed aggiunge:
“e ha natura sì malvagia e ria, / che mai non empie la bramosa voglia, / e dopo ’l pasto ha più fame che pria./ Molti son li animali a cui s’ammoglia,/ e più saranno ancora, infin che ’l veltro / verrà, che la farà morir con doglia.”
L’avidità è la disposizione peccaminosa più radicata nella natura umana – è il peccato di incontinenza per eccellenza – e consiste in una fame insaziabile, secondo la logica della cattiva infinità, che implica l’inquietudine perpetua, perché l’infinito non può essere totalizzato: ecco perché dopo il pasto, la lupa ha più fame di prima.
E’ il desiderio di potere disporre di tutto ciò di cui la vita umana potrebbe avere bisogno, che si focalizza sul denaro, appunto perché il denaro è in potenza tutte le cose, e può rendere acquistabile ogni cosa.
In quanto l’avidità è questo desiderio, genera conflittualità, per accaparrarsi la porzione più grande dei beni disponibili, dato che quanto più è grande tanto più si avvicina all’infinito, e tanto più aumenta il senso di sicurezza di avere il controllo e il dominio sul mondo circostante, e la possibilità di soddisfare i desideri.
La logica dell’avidità è diametralmente opposta a quella dell’altruismo, e della reciprocità, che sono alla base dell’etica, in quanto non punta sulla condivisione, ma sull’accaparramento esclusivo dei beni; non punta sull’aiuto reciproco, ma sulla competizione.
Il denaro incentiva l’avidità, e demoralizza l’etica, con le conseguenze che Dante denuncia e che noi denunciamo.
Ma l’avidità è sì il peccato di incontinenza per eccellenza, ma è anche alla radice di tutti gli altri peccati, che consistono nel mettere la forza e l’intelligenza al servizio dell’avidità.
Poiché infatti la pura avidità considera il prossimo come un concorrente nell’accaparramento della ricchezza, o come qualcuno al quale estorcerla o sottrarla, eccola pronta e mettere in atto tutti mezzi leciti e illeciti per procurarsela.
Il mezzo più diabolico è l’imbroglio, non ignoto al mondo animale, ma che nella specie umana ha raggiunto “altezze sublimi”.
L’imbroglio richiede la capacità di simulare, cioè di fingere, di mettere in scena linguisticamente e pragmaticamente un comportamento altruistico, per ottenere la fiducia degli altri, e agire furtivamente in modo predatorio.
A questo riguardo, Dante parla di peccato di frode – che si può manifestare in dieci modi diversi -, che egli valuta come più grave dell’incontinenza e della violenza. Vediamo Perché.
La frode non è esente dall’ignavia della viltà, perché mira a realizzare il sopruso senza essere vista, come se non fosse mai avvenuto.
Mentre il violento si assume la responsabilità del male, il fraudolento usa il linguaggio e il contegno del bene, e ne fa la sua bandiera. La frode perfetta è infatti quella che mai viene scoperta, e colui che riesce in questa impresa empia muore in odore di santità.
La frode è diabolica, perché è male che mira a sfuggire persino allo sguardo di Dio, che manipolando e travisando il linguaggio dà al male l’apparenza del bene.
La frode sfida il potere che ha Dio di creare, creando attraverso il linguaggio un’apparenza che ha la consistenza della realtà, crea un’anti- realtà che sfida e scredita la realtà vera. Infatti, la conseguenza della frode, nelle sue varie forme, se è molto diffusa, è che la gente non si fida più, non ci crede più.
Non a caso, e non a torto, lo scetticismo verso gli enti benefici, e coloro che li patrocinano, è molto diffuso.
Ecco dunque, una prima valutazione che possiamo dare sulla vicenda Lucano.
Rientra nella forma più vile del comportamento predatorio, radicato nell’avidità, e nell’idolatria del denaro che imperversa nel nostro tempo: quello che indossa i panni dell’altruismo, in modo da avere libero accesso alle risorse destinate al bene collettivo, e depredarle dando però a vedere l’opposto. Camuffare l’atto del ghermire facendolo apparire come atto di carità.
Ma perché Lucano era diventato famoso, perché godeva di appoggi e consensi, anche internazionali?
Basta scrivere Domenico Lucano in un motore di ricerca, ed emergono resoconti di manifestazioni in appoggio alla sua causa in Spagna, di delegazioni in visita a Riace per portare la loro solidarietà alla presunta vittima di un nuovo pericoloso rigurgito di razzismo fascista nel nostro paese.
Cito a caso, anche da articoli di qualche anno fa:
“Manifestazione in appoggio a Mimmo Lucano davanti l’Ambasciata d’Italia a Madrid”; “Nel tardo pomeriggio del 23 maggio, davanti l’Ambasciata italiana a Madrid, si è svolta una manifestazione in appoggio al sindaco di Riace Mimmo Lucano e per denunciare ‘la persecuzione di chi difende i diritti umani e si dimostra solidale verso i migranti’”.
Non poteva mancare il lessico melenso del nuovo solidarismo:
“Sotto il motto ‘Tutti siamo Mimmo’, le persone indossavano maschere con la faccia del sindaco”; “Alcuni manifestanti hanno messo sul viso delle maschere con la foto di Mimmo Lucano, e si sono incatenati come gesto simbolico di appoggio e solidarietà al sindaco del piccolo centro calabrese, diventato un simbolo di accoglienza ed integrazione dei rifugiati.” ( https://www.itagnol.com/2019/05/manifestazione-appoggio-mimmo-lucano-davanti-lambasciata-ditalia-a-madrid/)
Possiamo chiudere con questa citazione, per il nostro scopo:
“Di fronte all’avanzata del razzismo e del fascismo, vogliamo l’esempio di Riace nello Stato spagnolo, in Italia e nell’UE.” ( https://www.meltingpot.org/2018/08/la-caravana-abriendo-fronteras-a-fianco-dellesperienza-di-accoglienza-di-riace-e-di-domenico-lucano/)
Già dalle poche citazioni riportate, risulta chiaro che se Lucano e i suoi complici – stando alla verità giudiziaria – sono riusciti a mimetizzarsi così bene per tanti anni sotto il saio della carità laica, è perché si sono fatti portabandiera e testimoni dell’etica globalista dell’accoglienza e dell’inclusione del diverso (in questo caso, razzialmente ed etnicamente inteso): un’etica però così conseguente e così dogmatica, da bandire dal discorso pubblico ogni tesi diversa, che viene subito ostracizzata tacciandola di fascismo e razzismo, in nome del “politicamente corretto”.
Andrea Zhok, in “Critica della ragione liberale”, dà questa definizione di politicamente corretto:
“Il senso profondo del ‘politicamente corretto’ consiste nell’escludere dal novero del tollerabile, del dicibile, e possibilmente del pensabile, ciò che si presenta come potenzialmente offensivo, o lesivo, di gruppi che si presumono ‘stigmatizzati’ o ‘vittimizzati’.” (Zhok, Andrea. Critica della ragione liberale. Meltemi.)
Il politicamente corretto restringe lo spazio della discussione pubblica, perché tabuizzando la vittima (che in questo caso è il profugo, il migrante, il perseguitato) opera una “censura preventiva, tale da rendere certi temi, tesi, idee, difficili da intrattenere sinanche in forma ipotetica o problematica. Si tratta di ‘blocchi sacri’, veri e propri tabù in senso tecnico, interdizioni sacrali la cui violazione richiama solo ripugnanza, eventualmente odio, ma nessuna discussione.” ( Zhok, Andrea. Critica della ragione liberale. Meltemi.)
Ecco perché l’indagine a carico di Lucano è stata interpretata da parte degli attivisti delle Ong come sintomo di “un’avanzata del razzismo e del fascismo, che in quanto ormai sinonimi del male assoluto suscitano immediatamente sdegno e ribrezzo.
Ecco perché, soprattutto in certi ambienti politici, in questa fase storica egemonici, dove detta legge il politicamente corretto, dominati dai corifei della globalizzazione e dell’accoglienza, Lucano ha goduto di appoggi e sostegni forti, nonché di un plauso e di una solidarietà di tipo popolare, “a prescindere”.
Questa restrizione del dibattito, che tocca l’intolleranza e bolla con lo stigma del fascismo e del razzismo chi propone visioni politiche alternative, impedisce un confronto aperto e un approfondimento serio, perché non è affatto detto che un’accoglienza a prescindere dei migranti, che rimarchi la loro condizione di vittime, sia un’idea migliore di altre. Vediamo perché.
Le migrazioni di massa sono “anche” un aspetto dell’attuale globalizzazione. Il che significa che le calamità, le guerre, la povertà, non spiegano “da sole” il fenomeno.
Come le merci e i capitali si muovono da una parte all’altra del pianeta, così avviene per le persone e i popoli.
Perlopiù queste migrazioni sono gestite da associazioni criminali, che trafficano in esseri umani, ma incontrano pure il favore e il sostegno finanziario delle oligarchie economiche mondiali.
Il caso più noto è quello della Ong “The open society foundation”, del noto finanziere e speculatore Soros, che appoggia e finanzia questo fenomeno.
Lo afferma chiaramente, in un’intervista concessa qualche anno fa, il cardinale Robert Sarah, che è attualmente Prefetto Emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti:
“Sfortunatamente, ciò che accade oggi, dà l’impressione che si tratti di una migrazione perfettamente programmata, organizzata, ed eseguita.” (https://www.bufale.net/anti-immigrazione-il-cardinale-robert-sarah-fermatela-o-per-voi-sara-la-fine-disinformazione-chiara/)
Soros, da parte sua, ritiene che sia lodevole e caritatevole finanziare lo spostamento di masse umane da un posto all’altro, così come fa lui con i suoi capitali, realizzando profitti speculativi enormi.
Ritiene bello e interessante mescolare culture, ibridare razze e civiltà, cancellare tradizioni e sconvolgere assetti sociali stabili in un melting pot globale, i cui effetti negativi ricadrebbero sulla gente comune, che vedrebbero il loro mondo mutare rapidamente aspetto, e diventare sempre più incerto e sempre meno riconoscibile.
Saremmo sempre più privati di ciò che ci appartiene a opera di un’élite che decide per noi, che prima ha reso precario il lavoro, ha disgregato la famiglia, ha reso la ricchezza libera di andare irresponsabilmente in giro per il mondo in cerca di profitto e lucro, a danno dei popoli ai quali è stata sottratta – non altro che questo, è il sistema delle delocalizzazioni -, e ora mira, attraverso l’immigrazione programmata, a sradicare le persone dai propri luoghi d’origine, frammentare, ibridare, liquefare le società occidentali.
Ma tutto questo non emerge mai, perché rimane sullo sfondo. Quel che è sempre in primo piano, è il marketing accattivante dell’accoglienza, dove il multicolore è atleticamente bello, dove l’attivista s’atteggia ad eroe della carità, dove le sofferenze dei profughi vengono strumentalizzate per suscitare il senso di colpa e demonizzare chi prova a ragionare sul fenomeno.
Ma come suggerisce il cardinale Sarah, dovremmo chiederci chi ha interesse a programmare e organizzare l’immigrazione:
“Che cosa si vorrebbe esattamente? Dove si vorrebbe condurre quei popoli, che si spostano da un paese all’altro? Che cosa si vorrebbe esattamente? Ecco, la mia domanda. Io non ho le informazioni. Io direi che forse sarebbero necessarie, per dare una risposta: che cosa vorremmo trasportando popolazioni da un paese all’altro, nell’insicurezza totale, con rischi di perdere la vita?” (https://www.bufale.net/anti-immigrazione-il-cardinale-robert-sarah-fermatela-o-per-voi-sara-la-fine-disinformazione-chiara/)
A chi giova? Non ai popoli. E’ questa la risposta, che oggi bisogna avere il coraggio di dare, e che pubblicamente non si può ormai più senza conseguenze negative per sé, anche se sostenuta da persone o movimenti autorevoli.
Come afferma il cardinale Robert Sarah:
“Ogni persona vorrebbe vivere nella sua terra, nel suo paese, nella sua regione, nella sua cultura, nella sua storia. Nessuno vorrebbe spostarsi, lasciare il proprio paese.”
Anzi, aggiunge che le persone avrebbero il diritto a rimanere nei luoghi d’origine, in quanto lo sradicamento lede l’integrità dell’uomo e il sentimento fondamentale della sua identità:
“E dunque io penso che Dio vorrebbe che noi dimorassimo nel paese che ci ha dato.”
Soltanto l’élite privilegiata può sentirsi cosmopolita, a casa propria a New York e a Shanghai, non l’uomo comune, che ha bisogno e diritto al radicamento nella propria terra e cultura.
Dunque, a chi giova?
A coloro che intendono forgiare un’umanità nuova, sradicata dalla propria storia, dalla propria cultura, dalla propria identità, che è anche religiosa. Un’umanità funzionale alla logica del mercato globale, in cui il cittadino si riconosca innanzitutto come salariato flessibile e precario e come consumatore, a discapito di quell’identità più profonda che è forgiata dalla storia, dalla cultura, dai legami comunitari.
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