Poesia e Scienza della Natura

Ma come guardano un fiore, colui che assume un atteggiamento scientifico, e colui che ne assume uno poetico? A questo interrogativo sono approdato assieme a un amico, mentre si chiacchierava di attualità. Ora mi propongo di articolare una risposta, che in quell’incontro è rimasta nel vago.

Lo Spunto Letterario
di Gaetano Riggio


Ma come guardano un fiore, colui che assume un atteggiamento scientifico, e colui che ne assume uno poetico? A questo interrogativo sono approdato assieme a un amico, mentre si chiacchierava di attualità. Ora mi propongo di articolare una risposta, che in quell’incontro è rimasta nel vago.

Uso il termine “atteggiamento” (poetico o scientifico), perché si adatta a tutti noi: senza essere poeti, o scienziati, tutti quanti noi infatti possiamo assumere ora l’uno ora l’ altro, e quindi entrare nel merito della questione senza dovere essere esperti in qualche scienza o in poetica della natura.

Mi chiedo che ne sarebbe della bellezza della natura, senza l’ uomo. Non ne sa nulla l’azzurro, né lo splendore del Sole, e neppure il guizzo del delfino, o lo stormire delle foglie. Ma lo stesso si può comunque dire delle verità scientifiche, che sono formulazioni linguistiche che pretendono di rappresentare simbolicamente la realtà. La forza di gravità non sa nulla dell’equazione di Newton, né di quella successiva di Einstein, che pure la esprimono in simboli matematici.

Né il vero né il bello esistono senza l’ uomo: sia l’uno che l’altro sono rappresentazioni simboliche umane.

Che il cavallo ha quattro zampe, in primo luogo lo vedo, e poi formulo una proposizione linguistica (“ il cavallo è un animale a quattro zampe”), che è vera se è conforme al dato percettivo.

Ma quando dello stesso cavallo dico che è pure bello, non si può dire che io veda la bellezza così come vedo le zampe, che sono quattro.

Il giudizio scientifico è sempre descrittivo o narrativo, ma gli è del tutto indifferente come le cose sono ( descrizione) o vanno (narrazione).

Che un cavallo a quattro zampe zoppichi, è un accidente che la descrizione scientifica annota, ma è invece determinante nel giudizio estetico, perché indurrà a dire che quel cavallo non è bello, ma brutto.

Allora anche il giudizio estetico, è un giudizio di conformità, ma non al dato percettivo, ma a un modello ideale che prescrive come un cavallo debba essere, per valutarlo bello. Un modello ideale, che si trova in qualche modo “nella nostra testa”.

La proposizione scientifica descrive e racconta, e trovando i nessi causali tra i fenomeni altresì spiega. La proposizione estetica ( il giudizio di bellezza) valuta se un fenomeno dato è conforme o meno a un modello ideale: se lo, è bello; altrimenti, è brutto.

La conformità al bello di un fenomeno o di un complesso di fenomeni (panorama, natura, paesaggio, animale, uomo) suscita quel peculiare sentimento, che chiamiamo estetico. La poeticità della natura è proprio l’effetto del sentimento estetico.

Nel sentimento estetico si esprime la persuasione che qualcosa è come dovrebbe essere. Esso ci appare quindi dotato di nobiltà (la nobiltà di ciò ha forma rispetto alla viltà di ciò che è senza forma, vale a dire “difforme” o “informe”), di perfezione (in quanto rispondente a criteri di funzionalità, proporzione, armonia), e suscita quindi un sentimento di stupore e meraviglia, e la gioia di trovarsi laddove il bello dimora, e magari ci circonda da ogni lato.

In quanto ciò che è bello, è conforme a un modello ideale che si rende manifesto (nel fiore a cui ho accennato all’inizio, ad esempio), esso esige di non essere violato nella sua integrità: noi sentiamo questo divieto come un dovere morale, che ci impone di ritrarci, di genufletterci nel modo dell’adorazione. Da qui deriva ad esempio l’inviolabilità dei boschi sacri, in molte culture e civiltà.

Quanto diverge l’atteggiamento scientifico, da questo punto di vista! Non accontentandosi infatti di descrivere il fiore per come si dà alla percezione ordinaria, ma volendo invece penetrare lo sguardo nelle sue strutture invisibili, l’uomo di scienza, munito di protesi oculistiche e bisturi, taglia, disseziona, e lacera: ciò che la natura ci dona formato e composto in forma organica, egli scompone nelle sue parti per poi ricomporlo come un puzzle, allo scopo di carpirne i segreti, e usare le conoscenze acquisite per scopi pratici.

Ciò che per l’ atteggiamento estetico è inviolabile, viene fatto invece oggetto di un’indagine invasiva, sperimentale, che non risparmia il tenero fiore del nostro esempio.

Per concludere, l’ atteggiamento poetico è analogo a quello religioso: il bello naturale è ciò che manifesta un modello ideale, che esige dall’uomo l’inviolabilità, inclinandolo alla contemplazione distaccata e rispettosa.

L’ atteggiamento scientifico prescinde invece da ogni presupposizione di conformità della natura a una qualche forma di finalità, e si limita a descrivere le cose come sono, avvalendosi, al suo livello più alto e generale, degli strumenti più sofisticati dei modelli matematici.

Ma che cosa significa conformità a un modello ideale? In che senso, quando un fenomeno della natura ci appare bello, esso è (come se fosse) conforme a un modello?

In quanto essere vivente razionale, l’uomo esprime sempre giudizi di conformità sulle cose che lo circondano a ciò che gli serve, o gli è utile, eccetera. Le cose naturali possono essere utili, funzionali, oppure nocive, e disfunzionali. In questi giudizi c’è sempre un modello di riferimento, ma è un modello utilitario, relativo a ciò che soddisfa o aiuta o meno a soddisfare un bisogno biologico fondamentale.

Nel giudizio estetico invece non ci interessa la conformità ideale di un luogo a riparaci dal freddo o dal caldo, di una pianta a fornirci cibo commestibile, o di una pietra a innescare il fuoco. È un giudizio che misteriosamente riguarda la forma percettiva, che prescinde dai bisogni vitali di base e dall’utilità, tanto è vero che una pianta velenosa può essere bella (conformità percettiva), pur essendo nociva.

Non essendo legato all’utilità di ciò soddisfa un bisogno biologico, la conformità ideale di ciò che è bello riguarda la forma percettiva in sé e per sé. In campo estetico, l’utile per l’uomo consiste nel godimento estetico (benessere psichico) che l’oggetto bello produce, a prescindere da un possibile uso come strumento o mezzo o come bene di consumo.

Ritorna il concetto di inviolabilità del bello, e si mostra pure il suo carattere disinteressato: il bello non è subordinato a un uso, ma è un fine in sé.

In natura, quanto più qualcosa è bello, tanto meno è assoggettato a usi utilitari. Quanto più un animale, un fiore, o un luogo ci paiono incarnare la bellezza, tanto più avvertiamo una forma di rigetto a usarli, come se nel bello si manifestasse una potenza sovrannaturale, che esige il rispetto e l’adorazione.

L’uomo immediatamente simbolizza il sentimento della conformità in rapporto a una dimensione sacra o divina, di cui il bello sarebbe manifestazione.

Un luogo bello, se lo sfrutto organizzandolo come attrazione turistica, mantiene la sua bellezza? Se un animale selvatico lo chiudo in un recinto, mantiene tutto il suo valore estetico, il suo fascino?

E’ come se la bellezza fosse una cinta muraria fortificata, da cui emana un’ aura di mistero che tiene a bada le possibile minacce esterne. Ma questa aura respinge, ed attrae al contempo.

Chi dà molta importanza a questa dimensione estetica, è portato a giudicare negativamente le società, quale la nostra, basate in via prioritaria sull’utile e l’efficienza. È stato l’ atteggiamento tipico dei decadenti di fine Ottocento, e in particolare dell’estetismo.

Torna di nuovo il legame originario tra il bello e la dimensione religiosa del sacro. E non possiamo non porci la seguente domanda: che ne è del bello naturale nelle società secolarizzate, e desacralizzante del nostro tempo? Se dal bello naturale stesso emana l’ aura sacrale, ha spazio l’ esperienza del bello nella società desacralizzante di oggi?

Tutto sommato, i paradisi esotici promessi dalle agenzie di viaggio sono in fondo un’ esperienza del sacralità del bello al grado zero, spogliato di valore simbolico. I posti esotici richiamano l’ Elisio del mito greco ( per fare un esempio), le donne sono apparizione afroditiche delle divinità, spogliati però dell’aura divina del mito, e così via. L’ esperienza del bello tende ad appiattirsi sul piacevole, sul ludico, sul comodo.

Si va nella natura per un po’ di relax, alla ricerca di un senso di benessere, in cui il sentimento estetico si diluisce perdendo la sua specificità, appunto perché è venuta meno la capacità di simbolizzare l’ impressione che il bello sia la conformità a un modello ideale, e di conferirgli quella profondità che sempre ha avuto nella storia dell’uomo.

Torna il confronto con l’ atteggiamento scientifico, che si limita a formulare teorie descrittive, e considera i giudizi valutativi (quale quello estetico), come giudizi di rango inferiore privi di validità ontologica. Oggi domina questo atteggiamento, a discapito dell’altro.

Credo però non vi possa essere vera esperienza del bello senza l’ apertura alla trascendenza, comunque intesa. Ma torneremo sull’argomento in altri articoli.

Queste considerazioni si limitano comunque al bello naturale, ed escludono il bello artistico, per semplificare il discorso.


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Carletto Romeo