“Oltre il muro d’interesse” di Daniela Rullo

I fiori nel giardino della "banalità del male" nel film di Jonathan Glazer. Un punto di vista diverso sull'Olocausto

I fiori nel giardino della “banalità del male” nel film di Jonathan Glazer. Un punto di vista diverso sull’Olocausto

C’è un di qua e un di là nel film di Jonathan Glazer, vincitore del premio Oscar come miglior film straniero e miglior sonoro (e avrebbe meritato anche il miglior montaggio forse, ma questa è un’altra storia). Perché?

Perché al di là dei premi è un film con una prospettiva completamente ribaltata sull’Olocausto. Sappiamo tutto, abbiamo visto tutto, documentari, testimonianze, film, libri ma non abbiamo guardato dal punto di vista di un comandante del campo di sterminio di Auschwitz e della sua famiglia e la Zona d’Interesse che è liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Martin Amis parla della quotidianità di una vita “normale”, anche bucolica, attaccata e separata solo da un muro, a una vita mostruosa, dietro cui bruciano ogni giorno, ininterrottamente, forni crematori e vite umane.

Un muro divide questi due mondi, occlude la vista, e lo spettatore non vede, la famiglia del comandante non vede. Solo quest’ultimo è l’unico a traslare da un mondo all’altro, portandosi addosso tracce di quell’orrore (che a noi sembra orrore ma forse a lui no, normalità) che basta lavare sotto l’acqua di un rubinetto. E il comandante esegue gli ordini e cerca di fare tutto con efficienza, rigore e perfezione. Quella perfezione che diventa pericolosa e che poi ci sfugge di mano ed è proprio a quel perfezionismo che dobbiamo fare attenzione…

Il male è “banale”, Hannah Arendt ne ha scritto un saggio famosissimo non a caso. Chiudere e inscatolare la vita nel quadrato di un giardino curato nei minimi dettagli, dove convivono erbe aromatiche e fiori dagli accesi colori che attirano le api, vicino ad un ruscello dove fare il bagno e pescare i pesci, facendo finta o rimuovendo completamente, per sordità selettiva, ciò che c’è oltre il muro, è un’operazione ossessiva, compulsiva, maniacale, assimilabile a ciò che facciamo oggi, quando vogliamo tagliare fuori da noi il “brutto”, per “cadere in piedi” (come dice la madre alla figlia, la moglie del comandante), dimenticandoci ciò che accade a pochi passi da noi, mettendo un velo sui nostri occhi, come un muro invisibile (perché sarà forse vero che “occhio non vede e cuore non duole”?).

Ma il “sonoro”? Mi chiedo… Anche per questo esiste un modo comune di dire però: “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”.

Il ritmo del montaggio, di un aprire e chiudere le porte mentre si segue il percorso del personaggio principale, il comandante del campo, è ipnotizzante, oltre a rendere il ritmo serrante e mi fa pensare a quanto potessero essere ammorbate le menti delle SS da tutta quella banalità del male quotidiano che ogni giorno vedevano e ogni giorno decidevano di non vedere e non sentire, credo, per non impazzire (ma probabilmente impazzirono tutti, collettivamente, ugualmente, raccontandosi una delle più grandi bugie di quotidiana normalità al di qua del muro). Al di qua ci siamo anche noi spettatori, che però sentiamo voci e urla e ogni tanto, per volontà del regista, finiamo nel baratro dell’oscurità o in salti temporali che vi lasceranno altrettanto interdetti per come le azioni vengano compiute, ancora oggi, con “normalità”, perché quello che è accaduto lì e che non è accaduto soltanto al popolo ebraico ma a tanti altri popoli al mondo (solo che di questo popolo noi ne narriamo un genocidio così tanto documentato anche se ne esistono, ahinoi, tanti altri, di genocidi), ci rende assuefatti, proprio come se ci fosse quel muro e noi continuassimo a coltivare quel nostro bel giardino di fiori e piante aromatiche, con la nostra piscina.

Ma… fate attenzione… a un certo punto del film, il protagonista porterà i figli al fiume, a pescare e a fare il bagno. State a guardare cosa succede. Dovrebbe farci pensare abbondantemente, perché anche se un muro ci divide… siamo tutti figli di questa terra e la terra è una sola per tutti e i mari e i fiumi sono gli stessi… e noi siamo tutti quanti… esseri umani.

È un film che non parla solo di “ieri”, parla di oggi, parla di tutti noi.

Buona riflessione.

Daniela Rullo

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