L’obbligo vaccinale: una questione di bioetica

Il prof. Gaetano Riggio torna sulla questione dell'obbligo vaccinale con le sue riflessioni.

L’obbligo vaccinale: una questione di bioetica

Il fine non giustifica i mezzi, in uno stato di diritto.


Confronto tra alcune sentenze della Corte costituzionale in tema di trattamento sanitario obbligatorio, e altre sentenze recentissime del Consiglio di Stato e di diversi T.A.R regionali.

Se noi confrontiamo le sentenze della Corte Costituzionale, relative alla questione dell’obbligo vaccinale, n.307 del 1990, n. 258 del 1994, n. 107 del 2012, n.5 del 2018, con altre sentenze di recentissima emanazione del Consiglio di Stato (n. 06401 del 2021), del T.A.R. Puglia, Sez. II, Lecce (n.1685 del novembre 2021), del T.A.R. dell’Emilia Romagna con ordinanza n. 00756/2021, del T.A.R. Friuli Venezia Giulia con sentenza n.333 del 10/11/2021 – che comunque dovrebbero (se non erro) essere di rango inferiore -, a cui però dobbiamo aggiungere la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo emessa dalla Grande Camera in ric. 47621/13, n.3867/14/, n.73094/14, n. 19306/15, 19298/15, e n.43883/1, non possiamo non costatare il tentativo, da parte di questi ultimi, di inaugurare una giurisprudenza (sostanzialmente infedele al vero spirito della Costituzione) alternativa a quella della Suprema Corte, alla quale abbiamo già fatto riferimento nell’articolo “Obbligo di vaccinazione”, per contestarlo.

Tale tentativo – oltre a produrre il solito armamentario retorico, di cui i governi autoritari e più o meno eversivi della legalità costituzionale si dotano per dare apparenza di legittimità ai loro decreti, grazie al supporto dei soliti funzionari e giuristi ligi al “capo” di turno – si muove di fatto nella direzione di un cambiamento di paradigma, che infirmerebbe il principio dell’intangibilità dei diritti dell’uomo in ordine all’instaurazione di un regime totalitario, che solo le peggiori distopie letterarie hanno immaginato, anche se ha comunque preso già corpo nelle dittature totalitarie della prima metà del Novecento.

Che cosa affermano diverse sentenze della Corte costituzionale in tema di trattamento sanitario obbligatorio.

Le sentenze della Corte costituzionale di cui sopra, non fanno in realtà che commentare il fondamentale art. 32 della Costituzione, che mentre afferma che può essere imposto un trattamento sanitario obbligatorio per legge, precisa al contempo che “La Repubblica tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo”, e soprattutto specifica che “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”.
Quando la Costituzione afferma che “La legge … non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”, pone limiti e vincoli all’ordinaria azione legislativa, anche in caso di emergenza, che lasciano poco margine ai virtuosi dell’esegesi giurisprudenziale, che facendo fumo negli occhi tentano di mascherare l’effettiva violazione del dettato costituzione, che di fatto prova che si sta governando in stato di eccezione.

Vediamo nello specifico che cosa affermano, riguardo all’obbligo vaccinale e sanitario, le sentenze della Corte costituzionale, e come intendono la categorica locuzione avverbiale “in nessun caso”, e il sintagma “rispetto della persona umana”.

In breve sostengono (sentenza n. 307 del 1990, e n. 258 del 1994) che “si deve prevedere che il trattamento obbligatorio non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiono normali, pertanto tollerabili”. Di conseguenza, in caso di effetto collaterale grave, deve essere “prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato”.
Per quanto riguarda la sentenza 107 del 2012, leggiamo che “l’eventuale obbligo non postula il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri”. Il concetto è ribadito dalla sentenza n.5 del 2018.

Alcune riflessioni in merito alle sentenze della Corte.

Tali sentenze non sono altro che corollari dei principi dell’umanesimo laico e religioso della migliore civiltà europea, che hanno avuto la loro formulazione giuridica nelle famose “carte dei diritti” dell’uomo e del cittadino, e in particolare nella Costituzione della Repubblica italiana (1948).
Qual è il significato profondo di tali sentenze? In sostanza affermano che vi è una sfera di diritti che formano una sorta di scudo inviolabile intorno alla persona, di cui lo Stato non può disporre nella sua azione di governo.

Esiste un “dover essere” che non ammette deroghe (“in nessun caso”), in quanto precede la legge positiva, un dover essere da cui emana l’aura della sacralità.
Ne consegue che gli obiettivi di ordine pubblico e di sicurezza collettiva che i governi perseguono, anche in situazioni difficili, sono condizionati da vincoli che limitano e predefiniscono i mezzi e le procedure che possono essere adottati. Gli atti di governo devono predisporre strumenti e piani di azione che tengano conto in anticipo dei suddetti limiti, in modo che la loro efficacia possa essere ottenuta nei tempi e nei modi da essi consentiti.

Faccio un esempio. Se un governo ha due alternative per affrontare un’epidemia:

1) ricorrere alla vaccinazione di massa, imponendo l’obbligo di una terapia approvata “d’urgenza” che potrebbe provocare un numero significativo di invalidi e morti per effetti collaterali avversi, senza peraltro conseguire l’obiettivo dell’immunità;
2) predisporre strutture di ricovero e terapie integrative alla vaccinazione, implementare misure organizzative anti – contagio nei luoghi pubblici, che eviterebbero un tale obbligo lesivo;
un tale governo non avrebbe vera alternativa, perché dovrebbe ricorrere necessariamente alla seconda via di azione, per i paletti costituzionali e giuridici di cui abbiamo parlato.

Insomma, quando si afferma – nella sentenza 107 del 2012 – che “l’eventuale obbligo non postula il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri”, si ribadisce un principio (oggi rientrante nella bioetica) di civiltà che risale almeno al cristianesimo, viene ripreso dal giusnaturalismo, e ha una paradigmatica formulazione nell’imperativo categorico kantiano “agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo”.

Questo, non altro, significa il rispetto della persona umana di cui parla l’art. 32 della Costituzione nel comma conclusivo: la persona umana non può mai essere usata come strumento sacrificabile per raggiungere un fine di governo o per gestire un problema pubblico o una situazione di crisi, anche se è in gioco la sicurezza pubblica, o la salute pubblica.
Il governo non può usare il principio machiavellico “il fine giustifica i mezzi”, qualora il mezzo sia l’uso strumentale del corpo dell’uomo, della vita dell’uomo, in quanto la ragione d’essere del governo è la tutela e la promozione della vita e della salute di tutti. Un criterio statistico, sarebbe aberrante, contrario a una bioetica personalisticamente fondata.

Un criterio statistico, nella tutela della salute pubblica, sarebbe il seguente:
1) imporre un vaccino obbligatorio sapendo che pur essendo efficace, provoca effetti collaterali gravemente lesivi o mortali su una determinata percentuale tra tutti i soggetti trattati;
2) imporre un vaccino non ancora sicuro, in modo tale che il trattamento imposto si configuri altresì come un’ulteriore, definitiva fase della sua sperimentazione, usando di fatto l’essere umano come cavia, come si fa con i topi in laboratorio, “fregandosene” dei costi in termini danni ed effetti negativi presenti e futuri.
Un tale criterio annienterebbe il valore della persona, perché prioritario sarebbe la tutela del gruppo, e non della persona nel gruppo. Il valore della persona si ridurrebbe a un mero effetto statistico, al successo, sia pure assai probabile, in una lotteria della sorte messa in atto dallo Stato come mezzo di governo.

Ma una volta che cade il principio dell’inviolabilità della persona, che dovrebbe orientare il governo ad agire come strumento in vista di quel fine che è la vita e la salute di ciascuno e di tutti, non vi sono più limiti all’azzardo.
Chi stabilisce quale sia il limite che il governo non può oltrepassare nell’imporre il sacrificio di sé nell’interesse collettivo?
Chi, se non il governo stesso, nella misura in cui l’emergenza tende a diventare stile di esercizio del potere, oppure nella misura in cui convince i cittadini che l’emergenza si è aggravata e che ve sono sorte altre?

Faccio un esempio.
Potenti lobbies mondiali stanno già lanciando un nuovo allarme: quello demografico, in nome del quale cercano di convincere, non senza successo, gli uomini alla vasectomia, e alla lunga a cedere la “proprietà” del proprio corpo procreativo, che diventerebbe un bene pubblico, gestito e amministrato dallo Stato.
A questo proposito rimando all’articolo “Castrati per l’ambiente. La nuova campagna anti-vita”, dove si trovano indicazioni per approfondimenti. Cfr. https://lanuovabq.it/it/castrati-per-lambiente-la-nuova-campagna-anti-vita.

Che cosa affermano le sentenze del 2021 del Consiglio di Stato, del T.A.R Lecce, riguardo all’obbligo vaccinale?

Se ammettiamo che il fine giustifica i mezzi, non ci sarebbe limite all’orrore, perché saremmo espropriati non solo della salute, ma anche della facoltà procreativa, e di tanto altro.
In questa direzione, che è palesemente antiumanistica e antipersonalistica, e totalitaria nel senso peggiore del termine, vanno le recentissime sentenze del Consiglio di Stato, del T.A.R. della Puglia ecc., richiamate sopra, e messe a punto come sostegno ideologico di questo governo eversivo.

Infatti, come argomenta il Consiglio di Stato la legittimità dell’obbligo vaccinale, come se l’art. 32 non esistesse? Vediamolo. (Mi baso sulla sintesi fornita dall’avv. Marco Barone al sito seguente: https://www.orizzontescuola.it/obbligo-vaccinale-solo-quando-sara-vaccinato-il-90-si-mettera-in-discussione-il-sistema-delle-sanzioni-due-sentenze/)
Nel confrontare il danno da vaccino con il danno da pandemia, il Consiglio di Stato sostiene che

“il danno da pandemia sarebbe incomparabilmente più grave per la collettività dei pazienti e per la salute generale, rispetto a quello lamentato dall’operatore sanitario sulla base di dubbi scientifici certo non dimostrati a fronte delle amplissimamente superiori prove, con l’erogazione di decine di milioni di vaccini solo nel nostro Paese, degli effetti positivi delle vaccinazioni sul contrasto alla pandemia e alle sue devastanti conseguenze”.

Le obiezioni sarebbero molteplici. In primo luogo, il Consiglio di Stato si arroga il diritto di esprimere giudizi scientifici palesemente parziali e tendenziosi, se si è un poco al corrente della letteratura scientifica a riguardo, non limitandosi alle verità ufficiali di regime.
Ma quello che mi interessa rilevare è il fatto che qui si confrontano due danni, e si sostiene che lo Stato può imporre al cittadino un atto potenzialmente autolesivo, se comunque ne consegue un bene aggregato per la collettività, in palese contraddizione con l’art 32 della Costituzione e delle sentenze di cui sopra!

Riguardo ai “dubbi scientifici non dimostrati”, ci vuole un’arroganza tipicamente dittatoriale per negare gli effetti avversi, i morti, i dati di Eudravigilance, e di Vaers, il fatto che non abbiamo un sistema di farmacosorveglianza attiva, e dunque attendibile, e così via.
D’altra parte, essendo inumano e disumano un tale principio, è soltanto con la censura, con la menzogna, che diventa accettabile e accettato dalla gente comune. Soltanto qualche impavido parla di affetti avversi e morti da vaccino. Fondamentalmente rimane un tabù, un nucleo scabroso di cui non si deve parlare, non si deve dire, come nelle più rispettate dittature.
Ciò di cui non si deve parlare, di cui si deve tacere, è il fondamento occulto che rende valido il discorso governativo: se la gente viene a sapere, tutta l’impalcatura del governo, fondata sulla menzogna, crollerebbe.
Dello stesso tenore è la sentenza del T.A.R. Puglia:

“In fase emergenziale, di fronte al bisogno pressante, drammatico, indifferibile di tutelare la salute pubblica contro il dilagare del contagio, il principio di precauzione, che trova applicazione anche in ambito sanitario, opera in modo inverso rispetto all’ordinario e, per così dire, controintuitivo, perché richiede al decisore pubblico di consentire o, addirittura, imporre l’utilizzo di terapie che, pur sulla base di dati non completi (come è nella procedura di autorizzazione condizionata, che però ha seguito – va ribadito – tutte le quattro fasi della sperimentazione richieste dalla procedura di autorizzazione), assicurino più benefici che rischi, in quanto il potenziale rischio di un evento avverso per un singolo individuo, con l’utilizzo di quel farmaco, è di gran lunga inferiore del reale nocumento per un’intera società, senza l’utilizzo di quel farmaco.”

Si sostiene che il governo può imporre, in fase emergenziale, l’uso di terapie (non vaccini, ma terapie), anche sulla base di dati non completi (il che significa anche se potrebbe derivarne un danno notevole non preventivabile al momento, per la collettività), se assicurano più benefici che rischi, se algebricamente l’effetto benefico supera quello “malefico”.
In altre parole, si sta affermando – non occorre essere giurisperiti per accorgersene – che in fase emergenziale il governo ha potere di vita e di morte sui cittadini: non altro che questo significa il principio “più benefici che rischi”: se imponendo l’obbligo vaccinale, i danneggiati dal vaccino sono inferiori in numero ai tutelati dal contagio, va tutto bene!
Anche qui, occorrerebbe contro – argomentare in misura troppo ampia. Ci limitiamo perciò a poche considerazioni.

Quali sono i limiti del potere del governo in stato di emergenza?

Innanzitutto, quali poteri emergenziali conferisce al governo la Legge n. 225 del 24 febbraio 1992, che tra l’altro istituisce la situazione giuridica dello stato di emergenza, e il decreto legislativo n. 1 del gennaio 2018?

Riguardo alla durata il comma 3 dell’art.24 del decreto legislativo n.1 del gennaio 2018 afferma:
“3. La durata dello stato di emergenza di rilievo nazionale non può superare i 12 mesi, ed è prorogabile per non più di ulteriori 12 mesi.”
“Per non più di ulteriori 12 mesi”: già da questo punto di vista, questo governo sta operando in condizioni di illegalità, e il potere giudiziario per ora tace.

Quanto alle deroghe rispetto alle leggi vigenti, la legge 225 del 1992, al punto 5.2 afferma:
“2. Per l’attuazione degli interventi da effettuare durante lo stato di emergenza dichiarato a seguito degli eventi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c), si provvede anche a mezzo di ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e secondo i criteri indicati nel decreto di dichiarazione dello stato di emergenza e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico.”

E al punto 5.5 si specifica poi:

“5. Le ordinanze emanate in deroga alle leggi vigenti devono contenere l’indicazione delle principali norme a cui si intende derogare e devono essere motivate.”
Non è forse un principio generale – anzi, il più generale – dell’ordinamento giuridico il rispetto della persona umana? I principi generali dell’ordinamento giuridico non sono forse i principi fondamentali della Costituzioni, che questo governo sta palesemente violando?
Dunque, è falso che “In fase emergenziale […] il principio di precauzione […] opera in modo inverso rispetto all’ordinario […] perché richiede al decisore pubblico di consentire o, addirittura, imporre l’utilizzo di terapie che, pur sulla base di dati non completi […] assicurino più benefici che rischi, in quanto il potenziale rischio di un evento avverso per un singolo individuo, con l’utilizzo di quel farmaco, è di gran lunga inferiore del reale nocumento per un’intera società, senza l’utilizzo di quel farmaco.”

Ma che cosa significa che il principio di precauzione opererebbe in senso inverso?

Ve lo spiego subito: non andrebbe tanto considerato il rischio che una terapia sia pure d’urgenza possa nuocere, anche a tanti cittadini per altri aspetti, quanto la sua efficacia nell’affrontare l’emergenza pandemica nell’immediato.
Ma l’art. 32 lo vieta categoricamente: “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.” Si tratta di una tesi aberrante da punto di vista della bioetica, che autorizzerebbe il governo a usare come mezzi di governo terapie innovative dagli effetti sistemici ignoti sulla salute dei cittadini.
Tanto è vero che i rischi sono innominabili pubblicamente, e negati dalle autorità. Dei morti e degli affetti avversi gravi, e dei danni per il sistema immunitario di richiami vaccinali ripetuti e ravvicinati, nell’informazione ufficiale si continua a tacere.

Se la cinica valutazione del rapporto rischi – benefici, che ritiene sacrificabile la salute presente e futura di innumerevoli cittadini al fine di gestire il contagio da Covid, fosse eticamente e giuridicamente lecita, non avremmo l’attuale clima poliziesco e censorio, che fa venire i brividi, e grida giustizia. In aggiunta, il governo dovrebbe motivare le deroghe, e provare di avere messo in atto tutte quelle misure che potrebbero o avrebbero potuto evitare ai cittadini sacrifici e limitazioni gravemente lesivi dei loro diritti.

Ma tanti validi commentatori di varia tendenza, cultura e professione hanno denunciato le inadempienze del governo al riguardo, che si è buttato a capofitto sulla scommessa, che è anche cinica scorciatoia, della vaccinazione di massa, per gestire la crisi sanitaria, strumentalizzando criminalmente i non vaccinati per coprire i suoi fallimenti.


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Carletto Romeo