Carletto Romeo
Lo Stato di Israele
Lo Stato di Israele
Lo Stato di Israele è l’unico esempio di occupazione coloniale europea di un territorio afro – asiatico, tra i tanti che si potrebbero citare tra Ottocento e Novecento, che non sia stata seguita da un processo di decolonizzazione.
Anche Hong Kong è tornata di recente alla Cina. Il 1º luglio 1997 vi fu infatti il trasferimento della sovranità di Hong Kong dal Regno Unito alla Repubblica Popolare Cinese, che concluse ufficialmente i 156 anni di dominio coloniale britannico.
Ma ancora più interessante è il caso del Sudafrica, dove la minoranza anglo – boera, che attualmente costituisce circa il 10% della popolazione, dovette infine piegarsi a condividere il potere con la composita maggioranza nera bantu (circa il 75%), abolendo l’apartheid e concedendo elezioni democratiche che hanno portato all’elezione di Nelson Mandela a presidente.
In Palestina è accaduto il contrario: mentre nel resto del mondo l’era del colonialismo diretto – militare e politico -, entrava in una fase di declino, lì ha avuto inizio, ed è culminata nella proclamazione dello Stato di Israele (14 maggio 1948), con un atto unilaterale prevaricante che ha messo fuori gioco la stessa ONU, che pure aveva svolto un ruolo determinante nell’imporre alla comunità internazionale l’idea di una divisione della Palestina in due Stati: l’uno ebraico, l’altro arabo – palestinese.
Mentre in Europa l’antisemitismo secolare che risaliva alla fine dell’Impero romano finiva con la tragedia della Shoah, la stessa Europa – Inghilterra e Stati Uniti, in particolare – gettavano le basi di un nuovo antisemitismo: non cristiano, ma arabo –musulmano.
Ma questo antisemitismo è il risultato di una penetrazione aggressiva, efficiente degli ebrei che emigravano dall’Europa in Palestina, quando questa terra era un mandato britannico (1918 – 1948), vale a dire sotto un’amministrazione europea ancora di tipo coloniale, iniziata con la vittoria sull’Impero ottomano nella Prima guerra mondiale e con l’ingresso delle truppe britanniche a Gerusalemme nel 1917, e sancita con la concessione ufficiale del Mandato sulla Palestina all’Impero britannico da parte della Società delle Nazioni nel 1918.
Gli ebrei hanno saputo organizzarsi e sviluppare le attività economiche grazie ai finanziamenti che venivano da fuori, marginalizzando sempre più la componente araba autoctona, e infine, quando sono divenuti abbastanza forti e i rapporti con gli arabi si sono fatti conflittuali, hanno strutturato una rete paramilitare che al momento dell’evacuazione inglese, è riuscita a imporre il suo potere su tutto il territorio della Palestina.
Vale la pena ricordare le tappe fondamentali di questo processo: dopo la nascita del movimento sionista alla fine dell’Ottocento ad opera di Theodor Herzl con la pubblicazione del libro – programma “Lo Stato ebraico”, ed il primo Congresso Sionista Mondiale tenutosi a Basilea nel 1897, in cui prevale una strategia politica mirante a ottenere l’appoggio di Stati europei al fine di creare “per il popolo ebraico un focolare garantito dal diritto pubblico in Palestina”, l’anno decisivo è il 1917.
Gli inglesi stanno per entrare a Gerusalemme, e il Segretario per gli Affari Esteri Arthur James Balfour invia una lettera al banchiere svizzero Lord Lionel Walter Rothschild, membro del movimento sionista britannico, con cui l’Impero britannico s’impegna, in caso di vittoria, a favorire la formazione di un focolaio nazionale ebraico in Palestina.
Ecco il testo:
“Il governo di Sua Maestà vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico, e si adopererà per facilitare il raggiungimento di questo scopo, essendo chiaro che nulla deve essere fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche della Palestina, né i diritti e lo status politico degli ebrei nelle altre nazioni.” (Dichiarazione Balfour del 1917).
Alla dichiarazione seguono i fatti da parte del governo inglese, che permette la costituzione nel 1923 dell’Agenzia ebraica, organo di autogoverno della comunità ebraica sempre più numerosa, per via dell’emigrazione dall’Europa, supportato dal sostegno finanziario ebraico internazionale per l’acquisto di terre, e l’organizzazione degli insediamenti.
Contemporaneamente, nasce clandestinamente l’Haganah, un’organizzazione paramilitare ebraica, che avrebbe dovuto difendere gli ebrei nel conflitto inevitabile con i palestinesi, primo nucleo del futuro esercito israeliano.
Nel giro di pochi anni l’Haganah è in grado di mobilitare migliaia di uomini, ben armati e addestrati, con l’ovvio beneplacito degli inglesi, che formalmente esercitavano la sovranità in quel territorio, ed avevano in teoria il monopolio della forza.
E’ incredibile come ciò sia potuto accadere, che l’Impero britannico abbia permesso il formarsi di una forza armata, che di fatto faceva comodo e agiva pure da supporto, ma che potenzialmente avrebbe potuto diventare concorrente e avversario – come di fatto avvenne.
Gli insediamenti ebraici s’intensificano sempre di più nel corso degli anni Trenta, e parallelamente prende forma la struttura amministrativa e militare del futuro Stato ebraico, impegnato nell’ormai dichiarata guerra civile con la popolazione autoctona palestinese, mentre in Europa si consuma la tragedia della Shoah.
Di fatto, la risoluzione ONU n° 181 del 1947, che prevede la creazione di uno Stato ebraico (sul 56,4% del territorio e con una popolazione di 500 000 ebrei e 400 000 arabi) e di uno Stato arabo (sul 42,8% del territorio e con una popolazione di 800 000 arabi e 10 000 ebrei) sancisce una situazione di fatto che gli Inglesi avevano voluto e agevolato, funzionale al nuovo imperialismo statunitense e agli interessi occidentali.
La proclamazione dello Stato di Israele (14 maggio 1948) è seguita dall’esodo dei palestinesi. Si parla di circa 700.000 persone, alle quali lo Stato di Israele non ha concesso più di fare rientro, le quali sono ora diventate più di 5000000, sparpagliate in vari paesi arabi, in condizioni per lo più precarie o drammatiche.
Si trattò in sostanza di espulsione e di confisca dei beni appartenuti a palestinesi autoctoni, per le quali una nuova generazione di storici israeliani non esita a parlare di pulizia etnica.
I palestinesi e gli arabi ricordano quell’evento come “Nakba”, cioè “catastrofe”, che celebrano il 15 maggio.
Si tratta di riconoscere che la nascita di Israele – risarcimento europeo per la Shoah – ha provocato un’altra tragedia, un altro dramma collettivo: l’espulsione di un popolo dalla sua terra. Eppure, è calato l’oblio sulla vicenda, la dannazione della memoria.
Non solo. Il parlamento israeliano (Knesset) ha vietato ai palestinesi che vivono in Israele di celebrare il “Yaum” (“giorno”) al – Nakba (“catastrofe”)!
Termino con una citazione da Wikipedia, per la quale invito a cercare conferma bibliografica da altre fonti, o a smentirla:
“L’espressione Yawm al-Nakba (in arabo: يوم النكبة, “Giorno della Nakba”), identifica la ricorrenza, commemorata ogni anno il 15 maggio, con la quale le genti palestinesi e lo Stato di Palestina, con altri paesi arabi, rievocano l’estromissione nel 1948 di buona parte degli abitanti arabi della Palestina dai confini dello Stato d’Israele. Nel febbraio 2010 la Knesset ha varato una legge che proibisce di manifestare pubblicamente in Israele lutto e dolore il 15 maggio.
La nuova storiografia israeliana ha definito l’esodo palestinese un atto di pulizia etnica.
Che lo Stato di Israele non abbia altra legittimità se non la forza con la quale si è imposto in Medio Oriente, prima con il sostegno inglese, e ora americano, è un dato talmente elementare, che proprio in quanto elementare non si riesce a scorgere.
L’assurdo di tutta questa faccenda è che si voglia invocare lo sterminio degli ebrei in Europa sotto il nazismo come fattore di legittimità di questo Stato, e come sua consacrazione.
Di fatto Israele è una fortezza sotto assedio, che vanta una sicurezza ottenuta con una formidabile organizzazione militare appoggiata dagli Stati Uniti, mentre alcuni milioni di palestinesi vivono sotto tutela, in ghetti circondati da mura oppure in campi profughi, essendo stati espulsi dalle loro terre, senza che le trattative di pace abbiano segnato avanzamenti decisivi.
L’antisemitismo arabo – musulmano ha radici storiche circostanziate. Non mi pare che sia frutto di un pregiudizio, ma la conseguenza dell’imperialismo occidentale, che ha usato lo Shoah come pretesto per garantirsi una base territoriale stabile in Medio Oriente dopo la Seconda Guerra mondiale, quando ormai il colonialismo europeo si avviava al tramonto.
E’ singolare che la Shoah, che per molti significherebbe la morte di Dio, in realtà abbia potuto dimostrare che il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, lungi dall’essere morto, è in realtà vivo più che mai.
E’ singolare che dopo alcune migliaia di anni in cui gli ebrei hanno subito la dominazione dei popoli confinanti, deportati e massacrati dagli assiri e dai babilonesi, e duramente soggiogati dai romani, e poi dispersi in tutta Europa (la diaspora), siano tornati ad essere una grande potenza, protagonisti indiscussi, e dominatori. Non accadeva dai tempi dei tre grandi re di Israele: Saul, Davide, Salomone.
Da questo punto di vista la Shoah sarebbe un castigo del Dio biblico per i peccati del suo popolo (così i profeti ebraici interpretavano le sciagure), seguita da una riconciliazione, da una riconferma del patto, con la quale Jahvè avrebbe mantenuto la sua promessa della Palestina come terra promessa del suo popolo.
Mi pare che la corrente prevalente del sionismo contemporaneo (prevalente, ma non unica) sia affetta da un fondamentalismo riconducibile ad un’argomentazione teologica in senso lato, simile a quanto ho appena espresso.
E’ chiaro comunque, a scanso di equivoci, che l’unica soluzione eticamente accettabile, a questo punto, sarebbe un compromesso cha faccia giustizia sia agli uni che agli altri. Ma temo che il mio augurio sia solo una formula verbale. Niente di più. Spero però di sbagliarmi.
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