“La strage di Nassiriya. Tra mito e realtà”

La commemorazione della strage di Nassiriya. Tra mito e realtà.

La commemorazione della strage di Nassiriya. Tra mito e realtà.

Sono trascorsi venti anni dalla strage di Nassiriya del 12 novembre 2003, nella quale più di venti militari italiani sono morti, in seguito a un attentato, mentre assolvevano al loro dovere. Accenniamo comunque la contesto in cui si stava svolgendo la missione dei nostri soldati.

Nel 2001 gli Stati Uniti avevano invaso l’ Iraq, con un atto unilaterale che violava il diritto internazionale, dopo avere fornito delle giustificazioni per quella grave decisione, che si sono rivelate palesemente false. Né l’ Iraq disponeva di armi di distruzioni di massa né aveva avuto a che fare con l’ attentato alle Torri Gemelle del settembre 2011.

Soltanto successivamente l’ Italia, che comunque aveva aderito alla colazione capeggiata dagli Stati Uniti favorevole all’intervento, decise di mandare in Iraq un contingente militare per una missione di peace- keeping autorizzata dall’ ONU, sulla base dell’ assunto che la guerra fosse sostanzialmente finita. Con il senno di poi sappiamo che non era così, purtroppo. Il sacrificio dei nostri soldati ne è la tragica dimostrazione.

Anche noi ci uniamo alla commemorazione del sacrificio dei nostri soldati, perché hanno fatto il loro dovere in buona fede. Non spetta infatti al soldato dimostrare la bontà della causa, per la quale gli viene ordinato di combattere, e morire. Il militare non può che presupporre che la causa è giusta, che le autorità politiche agiscono per il bene comune, anche e soprattutto quando decidono di partecipare a interventi internazionali che comportano l’uso della forza.

Ma sappiamo pure che la storia si fa con “il senno di poi”, e da questa prospettiva “postuma” non soltanto può, ma anche deve entrare nel merito delle decisioni politiche dei governanti, e dei fatti e dei misfatti, che purtroppo possono avere tradito la buona fede di chi obbedisce agli ordini.

Ciò assodato, riportiamo alcuni commenti istituzionali in margine alla doverosa commemorazione dell’ eroismo dei nostri soldati.

La “partecipazione nelle missioni internazionali per la pace” “in tante travagliate regioni del mondo” che “l’Italia ha sviluppato in questi anni a servizio della comunità internazionale e dei diritti dei popoli”, “è il segno dell’impegno e del contributo del nostro Paese allo sforzo concreto della comunità internazionale per combattere gli orrori e le atrocità delle guerre e del terrorismo”, inizia con queste parole il messaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella inviato al ministero della Difesa in occasione della Giornata del ricordo dedicata ai Caduti, militari e civili, nelle missioni internazionali. Ricorrenza che quest’anno coincide con i 20 anni dalla strage di Nassiriya, in Iraq, dove un attentato suicida alla base italiana causò la morte di 19 italiani tra soldati, carabinieri e civili oltre a 9 iracheni.

“In occasione del ventesimo anniversario della strage di Nassiriya, desidero rinnovare il mio deferente omaggio ai caduti di quel gravissimo attentato e a tutti coloro che, animati da altissimo senso del dovere hanno perso la vita al servizio dell’Italia e della comunità internazionale per la stabilizzazione delle aree di crisi e per combattere il pericolo del terrorismo”. Lo scrive in un messaggio il presidente del Senato, Ignazio La Russa.

Nella Giornata del ricordo dei Caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace, il governo rivolge un doveroso e riconoscente omaggio a tutti i connazionali che hanno sacrificato la propria vita nei teatri operativi dove l’Italia è impegnata per difendere la libertà, la pace e la sicurezza. Il 12 novembre 2003 è un giorno che rimarrà scolpito, per sempre, nella memoria nazionale”, dichiara la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. “Il popolo italiano – sottolinea la premier – non dimenticherà mai ciò che vent’anni fa è successo a Nassiriya, il più grave attentato terroristico subito dall’Italia nelle missioni internazionali di pace nelle aree di crisi. Sono ancora vivide nelle nostre menti le immagini di quella drammatica giornata e la profonda commozione che l’attentato suscitò in tutta la Nazione, che non mancò di tributare agli eroi di Nassiriya un fortissimo sentimento di affetto e riconoscenza”.

“Nella Giornata del ricordo dei Caduti Militari e Civili nelle missioni internazionali per la pace, la mia commossa riconoscenza va a tutti coloro che, nelle aree di crisi in cui l’Italia è stata chiamata ad operare, hanno sacrificato la vita per il soccorso delle popolazioni e per la difesa dei principi fondamentali della democrazia, della libertà e della pace. Oggi ricorre anche il ventesimo anniversario del primo tragico attentato a Nassiriya, città che fu poi teatro di altri due vili agguati, nel 2004 e nel 2006. Venticinque nostri connazionali, tra militari e civili, impegnati con coraggio nella regione irachena per affermare gli strumenti del dialogo e della convivenza, persero la vita. Nel ricordare tutti i nostri caduti, desidero esprimere ai loro familiari la mia sincera vicinanza”. Lo ha dichiarato il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi.

Ma davvero l’intervento in Iraq, è stato “il segno dell’impegno e del contributo del nostro Paese allo sforzo concreto della comunità internazionale per combattere gli orrori e le atrocità delle guerre e del terrorismo” (Mattarella?), al servizio “della comunità internazionale per la stabilizzazione delle aree di crisi e per combattere il pericolo del terrorismo” (Ignazio La Russa), “per difendere la libertà, la pace e la sicurezza” (Giorgia Meloni)?

In un suo libro di memorie (2009), Alan Greenspan, per alcuni decenni presidente della Banca federale americana, ha affermato: . «Mi rattrista che sia politicamente sconveniente ammettere quello che tutti sanno: la guerra in Iraq è stata fatta, principalmente, per il petrolio», afferma l’81enne Greenspan, un repubblicano di ferro.

E ancora prima, come non ricordare Colin Powell, segretario di Stato del Presidente G. Bush, che dopo avere dichiarato nella sede dell’ ONU, il 5 febbraio 2003, che gli USA avevano le prove che Saddam Hussein possedeva armi di distruzione di massa, già due anni dopo ebbe a riconoscere pubblicamente che quel discorso all’ ONU era stata la più grande macchia alla sua carriera?

Era chiaro che una formidabile propaganda aveva evocato il mostro contro il quale le forze del bene (gli USA e i loro alleati) si sarebbero scatenate per annientarlo! Niente armi di distruzione di massa, niente collaborazione con Al – Qaida, niente autorizzazione ONU!

“Per difendere la libertà” (Giorgia Meloni! Quale? Quella negata a J. Assange, che a partire dal 2006 sulla piattaforma WikiLeaks ha reso pubblici files segreti di prima mano che documentano i crimini commessi dagli Stati Uniti in Iraq?

Come riporta D. Ganser in “Breve storia dell’ Impero americano, nel 2015 “l’indagine meticolosa denominata Body Count (‘numero delle vittime’) dell’organizzazione International Physicians for the Prevention of Nuclear War (IPPNW, Medici internazionali per la prevenzione della guerra nucleare) è giunta alla conclusione che dal 2003 la guerra ha ucciso un milione di iracheni.” E aggiungiamo che il caos e il legittimo risentimento contro gli invasori hanno trasformato l’ Iraq in una fucina di terrorismo e organizzazioni terroristiche!

Il 7 settembre 2005, in occasione del ritiro del premio Nobel per la letteratura a Stoccolma, Harold Pinter pronunciò un memorabile discorso:

“L’invasione dell’Iraq è stata un atto banditesco, un impudente atto di terrorismo di stato, che dimostra assoluto disprezzo per l’idea del diritto internazionale. L’invasione è stata un’azione militare arbitraria ispirata da una serie di menzogne su menzogne e da una grossolana manipolazione dei media e dunque del pubblico; un atto inteso a consolidare il controllo militare ed economico americano del Medio Oriente camuffato, come estrema ratio, da liberazione – essendo fallite tutte le altre autogiustificazioni. Una formidabile affermazione di forza militare responsabile della morte e mutilazione di migliaia e migliaia di persone innocenti.

Abbiamo portato al popolo iracheno torture, cluster bomb, uranio impoverito, e a scelta innumerevoli atti di omicidio, sofferenze, abbrutimento e morte e chiamiamo questo ‘esportazione della libertà e della democrazia nel Medio Oriente’.

Quante persone si devono uccidere per meritare la qualifica di massacratore e di criminale di guerra? Centomila? Sono più che sufficienti, direi. Dunque è giusto che Bush e Blair siano citati davanti alla Tribunale Penale Internazionale. Ma Bush è stato furbo, non ha ratificato il Tribunale Penale Internazionale. Perciò Bush ha avvertito che, se un qualunque soldato o politico americano si dovesse trovare alla sbarra, egli invierà i marines. Ma Tony Blair ha ratificato il Tribunale e perciò può essere perseguito. Possiamo fornire il suo indirizzo al Tribunale, se è interessato: è al numero 10 di Downing Street, a Londra.

La morte in questo contesto è irrilevante. Sia Bush che Blair accantonano per bene la morte. Almeno 100.000 iracheni sono stati uccisi dalle bombe e dai missili americani prima che iniziasse la rivolta irachena. Queste persone non contano. Le loro morti non esistono. Essi sono un buco nero. Non sono neppure registrati come morti. ‘Noi non contiamo i cadaveri,’ ha detto il generale americano Tommy Franks.

All’inizio dell’invasione ci fu una fotografia, pubblicata sulla prima pagina dei quotidiani inglesi, di Tony Blair che baciava sulla guancia un bambino iracheno. ‘La riconoscenza di un bambino’, diceva la didascalia. Alcuni giorni dopo, in una pagina interna, c’era la storia con fotografia di un altro bambino di quattro anni, senza braccia. La sua famiglia era saltata in aria per un missile, lui era il solo sopravvissuto. ‘Quando riavrò le mie braccia?’ chiedeva. L’episodio fu lasciato cadere. Bene, Tony Blair non teneva tra le braccia né quel bambino, né il corpo di qualunque altro bambino mutilato, né il corpo di un qualunque cadavere insanguinato. Il sangue è sporco. Ti sporca la camicia e la cravatta mentre stai facendo un discorso sincero alla televisione.

I 2.000 morti americani sono fonte di imbarazzo. Alle loro tombe vengono trasportati al buio. I funerali sono riservati, in luogo sicuro. I mutilati marciscono nei loro letti, alcuni per il resto della loro vita. Così sia i morti che i mutilati marciscono, in tombe di specie differente.”

Dunque, assodato l’onore che meritano i nostri caduti a Nassiriya, di che blaterano i nostri politici, i nostri rappresentanti istituzionali? Caduta ormai la distinzione tra vero e falso, tra realtà e rappresentazione, vero è il discorso più forte! Guai ai vinti!

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