“Il Privilegio di Essere Maschio”

Per "Lo Spunto Letterario", Gaetano Riggio sul privilegio di essere maschio, femminismo e identità di genere

Lo Spunto Letterario
di Gaetano Riggio


Il PRIVILEGIO DI ESSERE MASCHIO. FEMMINISMO E IDENTITÀ DI GENERE.

Ancora una volta traggo “spunto letterario” dalla definizione di privilegio data dalla Enciclopedia illuminista della metà del Settecento, curata da Diderot e d’Alembert, secondo la quale il privilegio e’ “un vantaggio concesso a un uomo a scapito di un altro uomo. I soli privilegi legittimi, sono quelli concessi dalla natura. Tutti gli altri possono essere considerati alla stregua di ingiustizie fatte a tutti gli uomini a vantaggio di uno solo. La nascita ha i suoi privilegi. Non c’è alcuna dignità che non abbia i suoi; ognuno ha il privilegio proprio della sua specie e della sua natura.”

Il femminismo radicale considera la condizione naturale dell’uomo, per quanto concerne il suo contributo alla riproduzione umana, come un privilegio concessogli dalla natura a scapito della donna, sul quale si è poi innestato il privilegio sociale e culturale, e dunque il dominio maschile, ma, a differenza della definizione riportata nell’Enciclopedia, valuta come illegittimo non soltanto il privilegio sociale e culturale, ma persino quello naturale, e dunque come un’ingiustizia, che però non è del tutto superabile, a differenza della componente storica della subordinazione della donna all’uomo, in quanto l’intervento riparatore sulla natura è assai più difficile, anche se non impossibile.

Non a caso la battaglia contro il privilegio maschile, che e’ sociale e culturale, anche se favorito e agevolato dalla natura, inizia proprio nella temperie dell’illuminismo di lotta contro i privilegi di nobiltà e clero, quando prende le mosse ciò che oggi chiamiamo “femminismo”, il cui inizio simbolico è fatto spesso coincidere con la pubblicazione nel 1792 di “Vindication of the Rights of Woman” di Mary Wollstonecraft.

Era sufficiente esaminare il rapporto uomo – donna alla luce del concetto di privilegio, ma non prima di essersi liberate dal vincolo della dipendenza paternalistica dalle figure maschili, per trarre le dovute conseguenze, e iniziare il cammino dell’emancipazione. Era il caso di Mary Wollstonecraft, che ha lottato per liberare la donna dalla tutela dell’autorità maschile, così come la borghesia e gli intellettuali illuministi hanno lottato per liberare l’uomo dall’autorità paternalistica della Chiesa, della monarchia, della nobilita.

“Un suo celebre aforisma dice: «Chi ha reso l’uomo il giudice esclusivo, se la donna condivide con lui il dono della ragione?». Pensava che tutto cominciasse con l’educazione, che la ragione dell’assoggettamento delle donne fosse da ricercare nell’ignoranza e nella condizione di esclusione dalla civitas.”
(www.enciclopediadelledonne.it/biografie/mary-wollstonecraft)

Il femminismo radicale non valuta positivamente né la femminilità né la maternità, che il senso comune non solo maschile ma anche femminile valutano invece come naturali e connaturate alla condizione dell’essere donna. Esso considera infatti la prima come un ruolo storicamente determinato, il cui copione è stato scritto dall’uomo per la donna, che le conferisce un’identità del tutto estrinseca, funzionale comunque a soddisfare l’immaginario maschile e la sua volontà di controllo e dominio nell’ambito della famiglia e della società; e la seconda come un onere, che grava sulla donna come un’ ingiustizia, a cui la società deve porre rimedio socializzando le cure materne, in modo da liberarla il più possibile, almeno finché la tecnologia non avrà trovato un’alternativa alla gestazione uterina, grazie a cui la donna potrà raggiungere l’emancipazione totale.

“Sex / gender system is that complex process whereby bi – sexual infants are transformed into male and female gender personalities, the one destined to command, the othet to obey”, scrive S. L. Bartky, in “Femininity and Domination”, Routledge, New York, 1990.
In italiano, “il sistema sesso / genere è quel complesso processo attraverso il quale i bambini bisessuali sono trasformati in individui di genere maschile e femminile, gli uni destinati a comandare, gli altri a obbedire.”

Dal punto di vista del femminismo basato sull’ideologia gender, il genere maschile e femminile sono marchi culturali impressi sulla sessualità fluida dell’infante: nulla di intrinseco o essenziale, dunque; solo un condizionamento originario, di cui non ci si può immediatamente avvedere, destinato a trasformarci o in personalità di genere femminile, destinate a obbedire, o di genere maschile, destinate a comandare.
La cultura patriarcale avrebbe allora fatto leva sul dato naturale dell’onere prevalentemente femminile alla riproduzione umana per imporre il suo sistema di dominio e privilegio.

SULLA MATERNITÀ.

Lo svantaggio naturale sarebbe dato dal vincolo della gestazione, dell’allattamento e dell’accudimento successivo della prole, che durano anni. Un onere che grava tutto sulla donna, mentre l’uomo può fare dell’altro, tra cui fecondare altre donne, lavorare, fare politica, eccetera. Insomma, tranne il momento della fecondazione, che è abbastanza paritario, tutto quello che segue è asimmetrico: per natura, uomo e donna condividono un risultato, per il quale il sacrificio maggiore ricadrebbe sulla seconda.

Su questo privilegio naturale la società ha poi costruito i ruoli di genere, e le relative identità, che hanno appiattito la donna sulla funzione materna e sullo spazio privato, mentre quello pubblico è divenuto una prerogativa quasi esclusivamente maschile.
Ma veramente la femminilità e perfino la maternità sono solo retaggi culturali e naturali, di cui la donna deve liberarsi in vista dell’emancipazione totale? Oppure si tratta di una visione parziale, che distorce la ricca complessità del rapporto tra i due sessi?

Se si focalizza l’attenzione soltanto sul privilegio maschile, che pure ha gravato duramente sulla donna nel corso della storia, è perché si usa la condizione maschile come parametro di giudizio: la donna, nell’ottica del femminismo radicale, si considera riduttivamente come un maschio mancato (vedi l’invidia del pene, di cui parlava Freud), e ritiene che solo avvicinandosi alla condizione maschile potrà essere veramente libera: facendo quello che fanno gli uomini, avendo le loro possibilità.

Ma in questo modo la donna rinuncia alla sua differenza: se considera la femminilità e la maternità esclusivamente in termini di ruoli sociali imposti dall’egemonia culturale patriarcale e dalla natura matrigna, allora rinuncia alla sua vocazione specifica, alle potenzialità e alle attitudini propriamente femminili.
Per fare un esempio, la maternità non è solo onere, ma allo stesso tempo privilegio, connesso al dono della fecondità e della procreazione. Ha ragione il femminismo quando addita l’onere e le sue conseguenze, ma torto quando si dimentica del privilegio e del dono, dei quali la donna è portatrice. Le conseguenze di questo oblio sono tossiche.

Considerare la maternità solo un onere svilisce la donna, le fa considerare la gravidanza come un qualcosa da rimandare o da evitare. La porta a vivere male questa esperienza e a colpevolizzare l’uomo che le sta accanto, anche se si comporta bene. Femminilità e maternità non sono valutati più come tratti psicofisici caratterizzanti della donna, ma come limiti da superare anche in direzione del transumanesimo.

A partire da questa impostazione antagonista e rivendicatrice, nutrita di risentimento, un certo femminismo ha fatto passare l’idea che emanciparsi dal dominio patriarcale possa significare addirittura fare a meno dell’uomo, anche nel momento del concepimento, anche perché le tecniche di fecondazione ormai lo consentono. La gestazione extrauterina porterà a compimento l’emancipazione della donna, che a quel punto però non sarà più donna della specie homo sapiens sapiens, ma una post – donna, o come altro vogliamo chiamarla.

A questo punto la liberazione non sarà soltanto dalle strutture di potere della società ma anche dalle gerarchie della natura. Se il rapporto uomo donna è mero rapporto di potere e niente altro, la liberazione comporta la rottura del vincolo (inseminazione artificiale, banca del seme, famiglia mononucleare o comunità femminile). Ma a questo punto sarà possibile rifondare su nuove basi il loro rapporto?

LOTTA TRA I SESSI, E LOTTA DI CLASSE

Il femminismo radicale applica l’ermeneutica del sospetto, che già Marx aveva applicato alla società, anche al rapporto uomo – donna: come l’unità e l’armonia, sono un’ideologia che maschera la struttura sottostante dei rapporti sociali, perennemente scossa da conflitti tra classe dominante e classe dominata; così anche il sodalizio uomo – donna, idealizzato dal romanticismo, e consacrato dal cristianesimo, sarebbe strutturato da dinamiche analoghe: l’unità celerebbe la divergenza degli interessi, a tutto vantaggio del dominio maschile, che avrebbe tutto l’interesse a preservarlo.

“The concept of romantic love affords a means of emotional manipulation which the male is free to exploit, since love is the only circumstance in which the female is (ideologically) pardoned for sexual activity. […] Romantic love also obscures the realities of female status and the burden of economic dependency” (K. Millett, op. cit., p. 37) – “Romance itself serves a larger political purpose by offering at least a temporary reward for gender roles and threatening rebels with loneliness and rejection. […] It privatizes our hopes and distracts us from making societal changes. The Roman ‘bread and circuses’ way of keeping the masses happy […] might now be updated” (G. Steinem, op. cit., p. 260).

In italiano, “il concetto dell’amore romantico concede all’uomo un mezzo di manipolazione emotiva che egli può sfruttare, dato che l’amore è la sola situazione in cui la donna può esercitare legittimamente la sua sessualità. […] L’amore romantico mette pure in ombra la realtà dello status femminile e il peso della dipendenza economica”(K. Millet, op. cit., p.37) – L’amore romantico in quanto tale serve a un più ampio scopo politico offrendo almeno un provvisorio risarcimento per i ruoli di genere, minacciando i ribelli con l’arma della solitudine e del rifiuto. […] Esso privatizza le speranze e ci distoglie dall’azione politica di cambiare la società. Il latino “panem et circenses”, con cui erano accontentate le masse, dovrebbe ora essere aggiornato” (G. Steinem, op. cit., p. 260.)

L’amore romantico sarebbe un mezzo di manipolazione emotiva che il maschio sfrutta a suo vantaggio, che oscura la realtà dello status femminile, offrendo una provvisoria ricompensata ai ruoli di genere e distogliendo le donne dallo scopo di cambiare la società, e così via…
Come occorrerebbe allora rivoluzionare la struttura sociale, per rovesciare il dominio delle classi dominanti, allo stesso modo andrebbe smantellata la famiglia tradizionale, per lasciare spazio a nuove dinamiche relazionali emancipative.

Ma il problema è che il femminismo radicale, per la sua stessa vocazione estremistica, nega l’esistenza di una qualche forma significativa di polarità uomo – donna, che fungerebbe da forza di gravità per un’unione stabile, in primo luogo finalizzata alla procreazione e alla cura della progenie.
Se la donna non esiste, perché è un costrutto sociale dell’uomo, se dalla stessa maternità è augurabile che la donna si emancipi per essere uguale all’uomo, l’emancipazione non porta a ricostruire il rapporto tra i sessi su nuove basi, ma a renderlo impossibile.

“Non sorprende troppo, perciò, che uno degli esiti di questa visione sia stata di concepire l’omosessualità femminile non come un semplice orientamento sessuale, ma come una vera e propria “scelta politica”, una “scelta di campo” che coerentemente evitava ogni compromissione con il “nemico”. Secondo Adrienne Rich, il romanticismo eterosessuale è un’ideologia cui le donne sarebbero indottrinate e forzate sin dalla prima infanzia.

È in questo senso che Ti-Grace Atkinson poteva lanciare il fortunato slogan: “femminismo è la teoria, lesbismo la pratica”. Queste ultime tesi radicali rimangono esiti controversi, non immediatamente generalizzabili all’intero second-wave feminism, tuttavia il quadro teorico complessivo è comunque chiaramente incline a promuovere una sorta di “separatismo” femminile, da declinare poi in varie maniere.” (A. Zhok, Critica della ragione liberale.)

LA COMPLEMENTARITÀ TRA I SESSI.

Una critica che si può fare è che la divisione in primo luogo naturale e poi sociale dei ruoli tra i sessi, non andrebbe valutata solo in termini antagonistici, ma soprattutto e in modo prevalente di complementarità.
La complementarità si realizza tra individui che non sono uguali, ma l’uno ha qualcosa che l’altro non ha, sia fisicamente che psicologicamente, con la conseguenza che cercano vicendevolmente l’uno nell’altro ciò di cui sono mancanti, in vista comunque della procreazione.

Solo da questo punto di vista il rapporto tra i sessi è un’autentica esperienza di scoperta e rinnovamento, che può creare un rapporto di unione tra pari, anche se diversi tra di loro.
Per fare ancora qualche esempio, è indubbio che vi sono facoltà e attività lavorative per le quali le donne sono mediamente più portate degli uomini, ma vale pure il contrario. E’ ridicolo in questi casi pretendere l’uguaglianza, e gridare alla discriminazione, se non si verifica. Allo stesso modo, mediamente bambini e bambini amano fare giochi diversi, e gli asili gender compiono una prevaricazione ideologica quando impongono la bambola ai maschietti e la macchinina alle femminucce.

Fare la madre dunque è vocazione femminile che mediamente e naturalmente la donna sente, e che la società dovrebbe valorizzare invece di metterla in lotta con se stessa costringendola a scegliere tra la maternità e il lavoro. E’ ridicolo, nonché patetico, trasformare l’uomo in “mammo”, in virtù di una concezione “geometrica” dell’uguaglianza che tratta le specificità dei due sessi come costrutti patriarcali, e privilegi per gli uni e discriminazioni per gli altri.
Il fatto che vi sia un ampio margine di variabilità culturale e storica nella complessa costellazione di ciò che è femminile e maschile, secondo un intreccio molto complesso e intricato tra fattori naturali e culturali, non significa che si tratti di costrutti arbitrari, non radicati nella natura umana, manipolabili a piacere.


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Carletto Romeo