Il delirio masochista

Il Delirio Masochista: In che senso il masochismo può essere interpretato come un delirio?

Lo Spunto Letterario
di Gaetano Riggio

Il delirio masochista


In che senso il masochismo può essere interpretato come un delirio, un’attribuzione di significato che prende la via di fuga della tangente, lontano dal cerchio del reale, dopo averlo intersecato in un solo punto?

Il masochista parte dall’evidenza del dolore, vissuto nelle piaghe della carne, nelle macerazioni della mente e del cuore, per ribaltarne il senso letterale, che pure egli coglie, per il fatto che si impone come un marchio bruciante nell’esperienza della vita.

Il masochista non indugia a subire il dolore, ma decide di passare al contrattacco, lo affronta agonisticamente uscendo dall’angolo dove subisce i suoi ciechi colpi, lo guarda negli occhi, per costringerlo a rivelargli il suo senso riposto, che appunto ribalta l’evidenza immediata, che appare così terribile.

Il masochista non respinge il dolore, non ne evita il contatto, il corpo a corpo: entra anzi nel suo agone cruento per uscirne in qualche modo trionfante!

Nella lauda di Jacopone da Todi (1236-1303) “O Signor, per cortesia”, la chiave della suaccennata reinterpretazione masochistica del dolore viene fornita dall’autore nei versi finali:

“Signor meo, non n’è vendetta/ tutta la pena ch’e’ aio ditta,// ché me creasti en tua diletta/ et eo t’ho morto a villania.”,
non prima però di essersi offerto sacrificalmente a tutti i mali che un essere umano può soffrire sulla Terra:
“O Signor, per cortesia, / manname la malsanìa! […] Gelo, grando e tempestate;//e non sia nulla aversitate, / che me non aia en sua bailia.”

La sovrapposizione di un senso mistico – teologico alla letteralità del dolore, ne rovescia la valenza, sicché Jacopone può persino invocare il Signore di colpirlo non soltanto con la febbre malarica, ma con tutte le avversità.

La strategia masochistica, pur così radicale, affronta di petto il dolore, in modo che l’impotenza non venga subita, ma accettata attivamente come una “via crucis” che lo riconcilierà con il mondo.

Il dolore è sintomo di una colpa originaria, espressione della finitudine che l’uomo rifiuta di assumere fino in fondo: si soffre perché soggetti a un’infinitudine alla quale ci ribelliamo. Allora, soltanto assumendo il dolore fino in fondo ci si può riconciliare con essa.

Accettando attivamente il dolore nella stessa carne fino a neutralizzare il risentimento verso le realtà superiori da cui dipende, il dolore stesso si trasformerà in una paradossale fonte di gioia che ricongiungerà misticamente al tutto.

Nell’interpretazione cristiana di Jacopone, tipicamente medievale, ma lontana da quella di San Francesco d’Assisi, il dolore non è vendetta di Dio, ma espiazione per il rifiuto di Dio, morto sulla croce a causa degli uomini.

Il dolore è comunque catarsi, via di espiazione, ponte lastricato di sofferenze, che riporta a Dio.

L’uomo non si limita a subire il dolore, ma lo interpreta, e questa attività ermeneutica può per così dire snaturarlo fino a cambiare di segno, quanto a significato e valore. In questo contesto, è lecito parlare di un delirio masochista, in qualche modo.

Ma un rapporto analogo può crearsi tra un uomo e un altro uomo, o tra individuo e società.

Lo schiavo o il servo che passivamente subiscono le angherie e i soprusi del padrone, si assimilano a colui che gerarchicamente li sovrasta, fino a interpretare in termini di colpa il residuo di resistenza o rancore che provano dentro di sé: un residuo che costituisce l’ultima barriera alla completa immedesimazione, alla perdita di sé nell’altro.

Una colpevolizzazione del genere può agire e agisce nel rapporto tra individuo e società, nella misura in cui la seconda esaspera le sue richieste, in direzione autoritaria e totalitaria.

In tal caso, la colpevolizzazione, alimentata ad arte dal potere, tira fuori le tendenze masochistiche, con la conseguente accettazione, anche fino all’autolesionismo, di misure di governo che altrimenti apparirebbero lesive della dignità della persona ed autoritarie.

Quando vengo a sapere di cittadini colpiti da gravi affetti avversi, dopo avere fatto il vaccino anti–Covid, che addirittura si vergognavano di rivelare il loro dramma, come se fosse colpa loro, non ho dubbio che agisce un meccanismo masochistico di colpevolizzazione.


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Carletto Romeo