Carletto Romeo
Fallimento superbonus
Fallimento superbonus
Il tanto decantato superbonus varato nel 2020 si è trasformato in una storia tutta italiana di inventiva, frode e burocrazia.
Nell’ambito del generoso programma noto come “superbonus” lo stato ha pagato l’incredibile cifra del 110% del costo per rendere gli edifici più efficienti dal punto di vista energetico: dall’isolamento, ai pannelli solari, alla sostituzione di caldaie e accessori per finestre vecchio stile.
Il sistema consente ai proprietari di case di detrarre il costo dei lavori di costruzione dalle tasse, per un periodo di cinque anni o di vendere il credito d’imposta al costruttore come forma di pagamento.
Il costruttore potrebbe quindi venderlo con uno sconto a un’altra impresa o banca, che a sua volta potrebbe venderlo a un’altra, proprio come qualsiasi altro strumento finanziario che fornisce liquidità al sistema.
Questi incentivi innovativi per rendere più ecologiche le proprie case hanno rilanciato lo scorso anno il settore edile italiano, rilanciato la sua economia e ottenuto elogi internazionali.
Nonostante la lunga burocrazia e le frequenti modifiche alle regole, lo schema sembrava un successo strepitoso. Il settore edile italiano, a lungo stagnante, ha contribuito per 0,9 punti alla crescita economica del 6,6% dello scorso anno. A novembre, l’Osservatorio del settore delle costruzioni della Commissione europea ha definito il superbonus “una misura di grande successo” e ne ha raccomandato l’estensione a una gamma più ampia di edifici.
Altri paesi europei, tra cui Germania, Spagna e Francia, hanno offerto i propri sussidi per il miglioramento delle case verdi, anche se nessuno generoso come l’Italia.
Poi alla fine dell’anno scorso la polizia fiscale ha dichiarato di aver trovato sospette frodi per un valore di oltre 2 miliardi di euro legate a incentivi per la bioedilizia tra cui il superbonus.
Dopo qualche mese ecco come tutto sta per finire in lacrime.
Il complesso sistema di crediti d’imposta negoziabili che sovraccaricava il settore si è fermato, poiché il governo ha iniziato a bloccare in virtù delle frodi sospette, lasciando i costruttori non pagati per il lavoro svolto. Un gruppo di imprenditori denuncia decine di migliaia di fallimenti e licenziamenti che potrebbero far precipitare la debole economia italiana in recessione.
Le aziende non pagate da circa sette mesi hanno a loro volta smesso di pagare fornitori e consulenti, in un effetto domino che ha coinvolto migliaia di aziende e lavoratori.
“Ci stiamo dirigendo verso un disastro, non solo per il settore edile ma per l’intera economia”, afferma Norbert Toth, la cui impresa edile di Formia ha perso 20 dei 30 lavoratori che aveva sei mesi fa.
La crisi sta già cominciando a emergere nei dati ufficiali.
La produzione di costruzioni è diminuita ad aprile per la prima volta in nove mesi, la fiducia nel settore edile a maggio è stata la più bassa degli ultimi sei mesi e l’indice dei direttori degli acquisti di costruzioni è stato il più basso da gennaio 2021.
Sono potenzialmente a rischio anche alcuni dei 200 miliardi di euro di fondi per il recupero dalla pandemia che Roma dovrebbe ricevere da Bruxelles. Una condizione per il pagamento è che l’Italia raddoppi l’efficienza energetica dei suoi edifici entro il 2025, cosa che potrebbe essere a rischio senza gli incentivi.
Ecco le reazioni politiche: il presidente del Consiglio Mario Draghi ha iniziato a criticare aspramente il provvedimento, introdotto dalla precedente amministrazione ma rinnovato dal suo governo.
“Non siamo d’accordo con il superbonus”, ha detto il mese scorso al Parlamento europeo, in un caso insolito di un governo che critica una delle sue stesse politiche.
Draghi ha affermato che non solo ha generato truffe, ma ha anche aumentato i costi perché i clienti, sapendo che sarebbero stati rimborsati, non avevano bisogno di contrattare con i costruttori sui prezzi.
Il ministro dell’Industria Giancarlo Giorgetti ha detto che “sta drogando il settore e contribuendo all’inflazione”.
In una campagna antifrode, Draghi ha fissato limiti al numero di volte in cui i crediti d’imposta potevano essere venduti da una banca o un’impresa all’altra, minando il meccanismo su cui si basava lo schema.
L’incertezza normativa e i commenti ostili dei ministri hanno colpito la fiducia e, una dopo l’altra, le maggiori banche del Paese hanno smesso di acquistare i crediti d’imposta da clienti e costruttori, lasciandoli non pagati per il lavoro svolto.
“Più di 33.000 aziende rischiano il fallimento con una perdita di 150.000 posti di lavoro”, afferma Claudio Giovine, responsabile dell’analisi economica presso la CNA (piccole imprese italiane).
Un sondaggio di questo mese ha mostrato che 60.000 aziende mancano di liquidità perché non sono state in grado di vendere i crediti d’imposta che avevano accettato come pagamento per il lavoro.
Questi crediti bloccati ammontano a oltre 5 miliardi di euro, stima la CNA. Di conseguenza, secondo il sondaggio, il 50% delle aziende sta ritardando i pagamenti ai propri fornitori, il 30% ha smesso di pagare le tasse e il 20% non paga i propri dipendenti. Quasi il 50% ha dichiarato di rischiare di dover chiudere la propria attività.
Se il boom dell’anno scorso si trasformerà in un fallimento in piena regola dipende da ciò che verrà deciso nelle prossime settimane.
Con l’economia già stagnante, gli allarmati partiti italiani hanno presentato al parlamento numerose proposte volte a rilanciare il superbonus.
Questi includono l’estensione dei tipi di imprese a cui le banche possono vendere i loro crediti d’imposta per includere le piccole imprese con fatturato superiore a 50.000 euro e consentire alle banche di utilizzare i crediti per acquistare titoli di Stato. Resta da vedere se tali idee sono accettabili per Draghi.
Il proprietari di imprese edili affermano che i dati del settore durante l’estate saranno “terribili” e l’unico modo per salvare lo schema è ripristinare la commerciabilità illimitata dei crediti d’imposta, nonostante riconoscano che alcune aziende potrebbero aver infranto le regole.
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Il Superbonus è una misura che coinvolge discipline di vari orizzonti altamente specializzati (fiscalità, finanza, urbanistica, ingegneria, efficienza energetica per citarne alcune), una critica costruttiva del provvedimento è alquanto preclusa ai non addetti ai lavori. Basta precisare che questi incentivi esistono da diversi anni con aliquote minori, e che il volano maggiore per la democratizzazione del SB non è stato l’innalzamento dell’aliquota fino al 110% ma bensì l’estensione della cessione anche agli istituti finanziari che fino ad ora ne erano sempre stati esclusi. Condizione d’altronde quasi obbligatoria in un periodo dove il potere d’acquisto dei cittadini si è ritrovato smozzato dal COVID seppure non possiede nessuna affinità biologica con esso, ma chiudiamo la parentesi.
L’errore numero UNO è stato la pubblicità attorno al 110% che ha promosso l’idea errata di potersi rifare casa gratis con tutte le ultime migliorie disponibile sul mercato. Un’idea concettualmente dannosa quanto il COVID riguardo le ripercussioni sul mondo edile.
In realtà, La maggioranza delle frodi riscontrate è riconducibile agli incentivi riconosciuti per gli interventi ricadenti nel “bonus facciate”, certo era concessa una aliquota inferiore, solo il 90%, ma non comportava limiti di spesa o necessità di asseverazioni e altri visti di conformità complicati da fornire. È l’intervento che ha riscontrato il maggior successo, lo si può costatare di persona girondolando per le strade di tutti paesi, i cantieri in corso dove ci si limita ad intervenire sulle sole superficie opache delle facciate sono innumerevoli. La domanda che naturalmente viene da porsi si esprimerebbe nei seguenti termini; l’esuberanza dei contratti stipolati in questo preciso settore è dovuta esclusivamente all’ingordigia degli imprenditori o all’ingenuità della governance.
Come al solito, denunciate le frodi e lo stato di criticità che ne consegue (tendenze inflazioniste legate a pratiche di mercato non troppo liberali), parte la caccia alle streghe, le misure si inaspriscono, il sistema rallenta fino al blocco. Sopravvivono i più grossi e si estingue il resto. Uno scenario riproposto fino al rigetto viscerale, un dejà vu plateale degno di Matrix, una delizia per i cospirazionisti a digiuno di proventi. Ai lettori più attenti è nota la consistenza preponderante della piccola media impresa nel tessuto produttivo italiano. La promozione dell’ennesima misura a favorire l’evoluzione dei grandi gruppi non necessita certo da un’analisi economica darwinistica troppo acrobatica, s’intravede facilmente oggi la sagoma amara di un dinosauro della finanza internazionale che conquista il palcoscenico abbandonando le quinte che si soleva una volta frequentare più per delicatezza che per timore.
Il successo a lungo termine di una misura come il superbonus non risiede esclusivamente nel ripristino della libera circolazione del credito imposta, servono tempistiche maggiori, adeguate al patrimonio edilizio italiano già frammentato di suo per natura dei territori estremamente diversificati nei quali si inserisce ma ancor più portato all’estremo con le superfetazioni delle normative di settore da rispettare. Piano Casa docet.
Grazie Mario e complimenti per questa gradita e articolata risposta.