Eurovision Song Contest di Gaetano Riggio

Eurovision Song Contest: "Un'estetica del grottesco e dell'ibridazione"

Eurovision Song Contest: “Un’estetica del grottesco e dell’ibridazione”

Ho seguito qualche scampolo di Eurovision, pure io. A un certo punto, mentre un cantante eseguiva la sua performance canora, la mia attenzione è stata attirata dal suo corpo di ballo, che mi ha fatto venire in mente i fotoni quantistici, che si manifestano ora come onde ora come corpuscoli, a seconda dei contesti sperimentali: quando infatti impudicamente bucavano lo schermo con le natiche, femmineamente levigate e tornite, i ballerini parevano donne a tutti gli effetti, anche se soltanto a livello basico; parevano invece maschi villosi, trasudanti ormoni, quando mostravano il volto ed il petto, con un effetto di straniamento che è proprio di tutte quelle figure fantastiche con cui la fantasia umana ha fin da sempre popolato il mondo di esseri strani e bizzarri, ottenuti rimescolando e ricombinando gli elementi e le componenti di cui sono fatti gli esseri del mondo reale.
Mi riferisco alle immagini terio – antropomorfe (metà uomo, metà bestia) proprie di alcune religioni antiche (vedi Anubi nell’Antico Egitto), e del mito (vedi il centauro nel mito greco), dove il “monstrum” era ottenuto ibridando l’uomo con la bestia, mentre nell’immaginario postumano del nostro tempo prevale l’ibrido maschio – femmina e, a questo connesso, quello uomo – macchina.

I ballerini dell’Eurovision, che ho appena descritto sopra, sono infatti costrutti artistici androginici, nel senso più brutale del termine, in quanto l’effetto androginico non è ottenuto con la sfumatura e l’ambiguità, ma attaccando rozzamente un busto maschile a un complesso bacino – natiche – gambe dai tratti nettamente femminili.
Ora volere normalizzare l’ibrido sessuale, soprattutto se è il risultato dell’innesto di elementi cozzanti, si può soltanto se cancelliamo il mondo reale e naturale, termine inaggirabile di paragone, sostituendolo con quello virtuale. Il ribrezzo e perfino la nausea che certe esagerazioni estetiche suscitano, testimoniano questa inaggirabilità della natura, da cui il culturalismo gender intenderebbe emanciparci!
L’eurovision è stato tra l’altro la celebrazione di questa estetica postumana e antiumana del grottesco e dell’ibridazione, che è ormai diventata altresì un canone ideologico, a cui l’arte in senso lato e il dominio dello spettacolo devono attenersi, facendosene addirittura buffonescamente apostoli e testimoni in modo che l’effetto di indottrinamento e condizionamento si diffonda il più ampiamente e profondamente possibile. È sufficiente guardare con occhio un po’ attento l’intrattenimento che offrono Rai e Mediaset, per accorgersene.
L’ortodossia ideologica è condizione indispensabile, anche se suppongo non sufficiente, per il successo del prodotto artistico, come dimostra l’esito del concorso canoro europeo, e le polemiche che lo hanno accompagnato.
Chi ha infatti vinto l’Eurovision Song Festival? Un certo Nemo, la cui offerta artistica include il nome (“Nemo” significa “nessuno”, in latino) e l’outfit (nulla che comunque il nostro Malgioglio non abbia già esibito), che a sua volta è un commento visivo del messaggio ideologico veicolato dal testo.

Ritengo che il commento sia più illuminante del testo, perché mostra visivamente come Nemo, avendo pirandellianamente rigettato l’identità binaria (“nessuno, né uomo né donna”), ne abbia adottato una ibrida e grottesca: infatti, a giudicare dal suo outfit, non appare né umano né macchinico, ma umanoide, una via di mezzo tra un essere umano e una bambola; né adulto né bambino, avendo infatti le unghie lunghe e la blusa da donna, ma una gonnellina e scarpe da tennis infiocchettate da scolaretta; né maschio né femmina: sulla voluminosa blusa da donna dai colori vivaci si erge un capo essenzialmente virile, nonostante una certa ambiguità del sorriso e del trucco che contorna gli occhi!
Il rispetto del diverso e dell’irregolare, da cui si era partiti nella lotta contro le discriminazioni, è malignamente degenerato in idolatria dell’irregolare e del diverso, in cui anche il semplice richiamo a una norma, sia pure statistica, dettato dal buon senso, è stata criminalizzata come incitamento all’odio e omofobia.
Ma come si fa a prendere sul serio un’estetica del genere, se non giudicandola per quello che è: deformazione grottesca dell’umano, che fa ridere e piangere al contempo, e che per definizione implica il riferimento a una norma di cui il grottesco è parodia e deformazione? Preoccupa lo stato di salute mentale di quanti invece prendono questo genere di show sul serio, come manifestazione di non so quale profondità e annuncio di un mondo nuovo!

Gaetano Riggio

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Carletto Romeo