Carletto Romeo
“Ebraismo, Antisemitismo e Antisionismo” di Gaetano Riggio
Lo Spunto Letterario
di Gaetano Riggio
Le tre religioni abramitiche
Quando si parla di antisemitismo, vale a dire di avversione pregiudiziale contro i semiti, non si bada al fatto che non solo gli ebrei sono semiti, ma anche gli arabi.
Arabo ed ebraico sono infatti lingue che appartengono al ceppo semitico, che anticamente comprendeva anche il fenicio, il siriaco, l’accadico, il babilonese, l’assiro, e così via. È vero però che l’antisemitismo è da intendersi come odio, non contro tutti i semiti, ma contro il sottogruppo ebraico.
Questa parentela tra ebrei e arabi risulta anche dalla genealogia del libro di Genesi, e di conseguenza dalla Bibbia Ebraica.
Infatti ebrei ed arabi, in quanto semiti, discendono da Sem, uno dei figli di Noè. Da Sem poi discesero Eber (da cui deriva il termine ebrei: coloro che hanno Eber come capostipite), e infine Abramo, che ebbe due figli importanti: prima Ismaele, dalla serva e seconda moglie Agar; e poi, Isacco, dalla prima moglie Sara.
E come dal figlio di Isacco, Giacobbe – Israele (da cui israeliani, coloro che hanno come capostipite Israele), discendono i dodici figli capostipiti delle dodici tribù di Israele; allo stesso modo, dai dodici figli di Ismaele discendono le tribù arabe. Ma la rivalità tra Sara e Agar, e il disprezzo della prima verso la seconda, con il rancore che ne è derivato, pare avere prefigurato l’attuale faida tra i discendenti di Sem.
Ad ogni modo, Ismaele entra nella rivelazione coranica di Maometto quale capostipite degli arabi, facendo dell’Islam una religione abramitica al pari del cristianesimo.
Da una parte, dunque, la linea di discendenza Abramo – Isacco – Giacobbe (detto Israele); dall’altra, la linea di discendenza Abramo – Ismaele (fratello di Isacco per parte di padre), popoli arabi.
Ebrei ed Arabi, hanno un comune capostipite nel semita Abramo, al quale Dio ha rivelato il suo messaggio di elezione e salvezza sia secondo la Bibbia ebraica che secondo il Corano (VII sec. d. C.).
Ad ogni modo, è con Abramo, e poi con Isacco e Giacobbe, che il Signore stringe la sua Alleanza, non con Ismaele. Ma molti secoli dopo, all’inizio del VII secolo d. C., il Dio di Abramo (Allah, in arabo) si rivela a Maometto (il che è ovviamente vero solo per i musulmani), e gli ismaeliti avranno il loro posto nella storia della salvezza, ma con la complicazione che il senso complessivo e definitivo di questa storia secondo la Rivelazione di Maometto (considerato dai musulmani il compimento ultimo e definitivo della Rivelazione), diverge da quella ebraica, che già non aveva riconosciuto in Gesù il Messia, né riconoscerà in Maometto l’Inviato di Dio.
Faccio inoltre presente che per i cristiani, secondo la genealogia del Vangelo di Matteo, Gesù il figlio di Dio discende pure egli da Abramo, passando per re Davide. Il che non è ammesso dagli ebrei, mentre i musulmani riconoscono in Gesù un profeta, anche se il senso ultimo di tutta la rivelazione a partire da Abramo fa capo a Maometto. Dunque Ebraismo, Cristianesimo ed Islam, sono come tre rami di uno stesso tronco, che propongono tre versioni diverse di una stessa Verità, che si è rivelata a partire da Abramo.
Antigiudaismo
È proprio in questa divergenza l’origine dell’avversione contro gli ebrei, che fu cristiana ancora prima di essere anche musulmana.
Infatti, la Rivelazione di Dio, secondo gli ebrei, si conclude con i Profeti dell’Antico Testamento, che preannunciano il Messia, che però, secondo loro, non è stato Gesù; mentre per i Cristiani Gesù è il Cristo, cioè il Messia annunciato nell’Antico Testamento, che viene incorporato nella Bibbia Cristiana.
È in questa negazione della divinità di Gesù da parte degli ebrei la radice dell’antigiudaismo cristiano. (Parlo di antigiudaismo, e non di antisemitismo, che ne è la variante moderna.)
Mentre il cristianesimo si avvia a diventare una religione universale, soprattutto a partire da Paolo di Tarso, che svincola la fede cristiana dalle radici mosaiche, e annuncia la salvezza a tutti i popoli dell’impero romano; l’ebraismo (o giudaismo) sarà la fede di un popolo separato dalla “societas christiana”, che andrà costituendosi a partire del periodo tardo – antico e poi nel Medioevo.
Soprattutto a partire dalla diaspora, dopo avere lasciato la Palestina (terra di Israele), gli ebrei formeranno comunità separate dal resto della popolazione nei luoghi in cui si stabiliranno, il che non è una colpa, ma è la radice di quell’atteggiamento paranoico e persecutorio della società cristiana, del quale l’ebreo in quanto straniero o diverso è diventato più volte vittima, nei momenti difficili della storia, quando serviva un capro espiatorio, sul quale fare ricadere la colpa di quel che non andava.
In generale, il diverso è sempre stato considerato il portatore di una minaccia, in quanto la sua stessa diversità può essere contagiosa, e attaccare e dissolvere quell’ordine normale della vita sociale con il quale viene a contatto nell’ambito della coesistenza tra culture diverse.
Ora l’ebreo negava il fondamento stesso della civiltà cristiana, in quanto non aveva riconosciuto in Gesù il figlio di Dio, vale a dire il Cristo. Diversi scrittori cristiani, tra apologeti e padri della Chiesa, si sono scagliati nei loro scritti contro questa pervicacia, dal loro punto di vista, nell’errore e nel male, contribuendo in modo determinante a creare lo stereotipo di un popolo carico di negatività, comunque latenti, che nel chiuso delle sue comunità (i “ghetti”) tramava maleficamente contro il cristiano.
Questo stereotipo ha avuto altresì il suo terreno di coltura nella diffidenza e nel sospetto, che possono crescere a dismisura quando due persone o gruppi non comunicano, e il vuoto di conoscenza e di empatia si colmano dei contenuti più torbidi che l’immaginazione possa suggerire, i quali portano ad attribuire al diverso in quanto intruso intenzioni ostili e persecutorie.
Non a caso i più gravi massacri e le più spaventose persecuzioni contro gli ebrei sono avvenute, per quanto riguarda l’Europa, quando c’erano guerre, epidemie, e gravi crisi economiche.
Ricordo le stragi di ebrei durante la prima Crociata (1091), durante la peste nera (1347 – 53), nella fase finale della Reconquista in Spagna (1492), in cui il nemico era il moro, cioè l’infedele, e così via.
L’ebreo era funzionale a dare un volto al nemico responsabile della crisi in corso, e serviva ai ceti dominanti a distogliere, e indirizzare altrove l’aggressività popolare che altrimenti si sarebbe rivolta contro di loro. Era un modo comodo e cinico di dare la colpa ad altri allontanando i sospetti dal proprio operato e responsabilità.
Più in particolare, nella misura in cui gli ebrei emergevano nel settore del commercio e dell’attività bancaria, era gioco facile, nelle fasi di crisi, convogliare l’odio di classe dei ceti più deboli contro la componente ebraica, accusata di affamare il popolo cristiano.
Emancipazione degli ebrei e antisemitismo
Uno spartiacque fondamentale nella storia che stiamo raccontando, è il Settecento, quando in nome dei principi dell’illuminismo, e quindi anche dell’ideale della tolleranza religiosa, in quasi tutti gli Stati europei gli ebrei ottengono l’emancipazione, e dunque il riconoscimento dei diritti di uguaglianza e libertà.
Potrebbe essere la fine della questione ebraica, e invece inizia l’antisemitismo moderno, da distinguere dal vecchio antigiudaismo, in cui prevaleva la pregiudiziale religiosa come fattore di odio.
Se per tutto il Medioevo lo stigma che aveva segnato indelebilmente l’ebreo era stato di tipo religioso, dall’Ottocento in poi, nell’epoca dello Stato – nazione, sarà di tipo etnico – razziale, non senza che quel retaggio di odio teologico, paranoico e persecutorio, passasse nel nuovo schema pregiudiziale.
Se prima l’ebreo era “estraneo ed ostile” alla comunità dei battezzati, nell’Ottocento lo sarà alla comunità nazionale dello Stato, in quanto culturalmente, razzialmente e storicamente diverso, e quindi non integrabile, nonostante il fatto che molti ebrei si convertissero, si laicizzassero, integrandosi nella società moderna.
Da questo punto di vista l’antisemitismo diventa una variante della xenofobia, che rifiuta di accogliere lo straniero, perché non integrabile, perché nonostante le apparenze rimane un estraneo, potenzialmente nemico ed ostile, pronto a pugnalare alle spalle la nazione che lo ospita e lo accoglie.
Paradigmatico fu il ruolo dell’intellettuale tedesco Ludwig Marr (1819-1904), che non solo conia il termine “antisemitismo”, nell’opera “La strada verso la vittoria del Germanismo sul Giudaismo” (1879), ma imposta il concetto nei nuovi termini dettati dal nazionalismo ottocentesco.
Mi limito a riportare una breve sintesi del suo pensiero, che traggo da Wikipedia:
[…] egli introdusse l’idea che i tedeschi e gli ebrei fossero bloccati in un conflitto che andava avanti da molto tempo, le origini del quale attribuiva alla razza — e che gli ebrei stessero vincendo. Egli sostenne che l’emancipazione ebraica risultante dal liberalismo tedesco aveva permesso agli ebrei di controllare la finanza e l’industria tedesca. Inoltre, poiché questo conflitto si basava sulle qualità differenti delle razze ebraica e tedesca, non poteva venire risolto nemmeno dalla totale assimilazione della popolazione ebraica. Secondo Marr, la lotta tra ebrei e tedeschi si sarebbe risolta solo con la vittoria di una delle parti e la morte definitiva dell’altra. Una vittoria ebraica, concludeva, avrebbe avuto come conseguenza la finis Germaniae (la fine del popolo tedesco). Per impedire che ciò si verificasse, nel 1879 Marr fondò la Lega Antisemita (Antisemiten-Liga), la prima organizzazione tedesca impegnata specificamente nel combattere la presunta minaccia posta alla Germania dagli ebrei, e che sosteneva la loro rimozione forzata dal paese.
Un esempio, è l’affare Dreyfus in Francia alla fine dell’Ottocento, in cui un ufficiale di origine ebraica viene ingiustamente condannato come traditore e spia della Germania. Un altro ancora i Protocolli di Sion del 1905, un falso documento della polizia segreta russa che proverebbe un complotto ebraico per conquistare il mondo. Al complotto credette Hitler, che accusò gli ebrei tedeschi di avere tramato contro la Germania durante la Grande Guerra.
Non era sufficiente essere un ebreo assimilato ed emancipato, per sfuggire al sospetto, soprattutto se il successo negli affari, o nell’attività politica, conferiva una particolare visibilità pubblica. L’ebreo integrato rimaneva pur sempre un ebreo, una quinta colonna del nemico di razza, che si insinuava nei gangli vitali dell’economia, dell’esercito, della cultura, dell’informazione.
Rivelante è la diffusione che ha avuto il mito di un complotto bolscevico – giudaico, a partire dalla Rivoluzione russa del 1917, finalizzato alla sovversione in Europa. Un mito paranoico suggerito dall’altissima componente ebraica sia tra i socialisti che tra i protagonisti della Rivoluzione russa e bolscevica del 1917, che in Germania si congiunse al delirio di un complotto – sabotaggio ebraico responsabile della disfatta nella Prima Guerra Mondiale. Questi e altri spunti venefici fecero parte del repertorio della forma più tragicamente compiuta di antisemitismo: quello nazionalsocialista di Adolf Hitler.
Sionismo e antisionismo
La teoria paranoica del complotto si basa spesso su elementi reali, la cui natura però viene travisata e distorta. Infatti si registra un attivismo ebraico a fine Ottocento, ma non ha a che fare con quello che l’antisemitismo razzista andava vaneggiando. Anzi, era un attivismo che reagiva proprio al razzismo antisemita europeo.
Certo è che le istanze delle élite ebraiche più influenti seppero trovare accoglienza nei circoli governativi britannici in particolare, e sostegno al progetto politico che aveva preso forma con il libro di Theodor Herzl (“Lo stato ebraico”, 1895), e con il primo Congresso sionista di Basilea.
Questo progetto è appunto il sionismo, la pianificazione di un ritorno a Sion, che è letteralmente la collina su cui sorge Gerusalemme.
Se una cospirazione ebraica ci fu, non fu una di quelle evocate dall’antisemitismo teorico e militante del quale abbiamo parlato finora, ma un progetto politico sviluppatosi essenzialmente alla luce del Sole: il programma politico del sionismo, che non è stato finalizzato a dominare il mondo o fare trionfare il comunismo, ma a “prendersi” la Palestina, espellendo la popolazione locale (con le buone, ma soprattutto con le cattive maniere), e fondarvi uno Stato ebraico. E con il supporto determinante del governo inglese, ci sono riusciti.
L’antiosionismo non ha a che fare con l’antisemitismo, perché è opposizione a un movimento politico talmente ingiusto e destabilizzante, da essere uno dei fattori che ha portato il mondo sull’orlo di un conflitto mondiale, e da contare numerosi oppositori tra gli stessi ebrei (anche illustri).
Gaetano Riggio
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