Carletto Romeo
Dire, Fare, Baciare, Lettera o… Testamento?
Dire, fare, baciare, lettera o… testamento?
Mi chiedevo dove fosse finita quella penna che si firma “PiccolaFlò” e perché non avesse più scritto di cose pratiche e divertenti. Forse non aveva potuto più viaggiare o uscire, incontrare gente, fare vita sociale e pertanto aveva preferito non esprimersi più? Forse anche per questo e forse non solo per questo.
Ma l’ho vista arrivare poi, l’altro giorno, portarmi un foglio scritto a mano, in una busta. Una lettera, come ai vecchi tempi, una di quelle senza francobollo, direttamente consegnata a mano. L’ha lasciata sul bancone di legno, che tante volte aveva dato appoggio a stoffe varie, di cento colori e consistenze diverse. Non mi ha detto una parola, mi ha solo guardato a lungo negli occhi, come di chi vuol ricordare (o farsi ricordare)… ed è andata via.
Con stupore ho preso la missiva tra le mani, mi sono seduto e ho cominciato a leggere:
“Camminando a piedi ho potuto prendermi il tempo di ragionare sulle cose, quelle visibili e quelle invisibili. Ho udito i miei stessi passi, i piedi sul selciato, i profumi del sentiero, gli uccelli del mattino. Ho visto le nuvole e il cielo di un rosa tenue, poi dorato, fare posto ai raggi di un sole nascente. Ho pensato al nuovo giorno che stava per arrivare e ai passi ancora da fare. Mi sono sentita libera, senza più pesi, leggera come una piuma d’angelo.
Ho assaporato i frutti che la natura mi ha regalato lungo la strada sterrata di campagna e ho realizzato che lungo la via mi ero ritrovata da sola, con un mantello a ripararmi, una bisaccia per dissetarmi e un bastone per sostenermi. Null’altro di cui avessi bisogno se non di ritrovare me stessa, nella mia carne e nei miei pensieri.
Davanti a me la traccia di un percorso già battuto lungo il quale andavo con la filosofia di chi cerca nel cammino quelle verità inafferrabili dalla ragione… quelle risposte che giungono dai sensi, dalle emozioni indicibili di una musica interiore che portiamo dentro noi stessi, nel ritmo del nostro cuore, nel battito regolare del motore del mondo, nel respiro che ci accompagna sin dal primo vagito e fino all’ultimo sospiro della vita che si spegne per diventare altro, qualcosa di meno palpabile di un corpo fatto di pelle e ossa, di muscoli e di visceri.
Me ne vado riflettendo su dove vanno a finire i sogni e i desideri delle persone, dove emigrano le idee e i pensieri, a quanti passi ed anni luce si trovano quelli che si sono trasformati prima di noi in quell’energia cosmica dalla quale abbiamo origine e alla quale tendiamo a ritornare. Rientrare in quel Kaos di cellule primordiali che pulsano come stelle in espansione, nelle onde di quel mare ben più vasto di tutti gli oceani conosciuti messi insieme qual è l’universo, di cui facciamo parte finché qualcuno conserva memoria del nostro passaggio.
Cosa resta di noi dopo la morte, gli addii, le separazioni laceranti? Diventiamo sogni, voci del profondo, impalpabili presenze nell’assenza… La morte, l’oscurità di una non materia, dissoluzione dell’involucro in cui dimoriamo finché i nostri passi calpestano il suolo di questo pianeta cui abbiamo dato il nome Terra. Ella è meravigliosa e terrificante come una madre ed una strega divoratrice allo stesso tempo. Ci nutre e ci annienta quando si scatena in tutta la sua potenza, ricordandoci quanto siamo fragili e vulnerabili.
L’essere umano che tenta continuamente di sottometterla ne viene sconfitto puntualmente, giacché nasce mortale, sensibile alle malattie ch’essa stessa produce come principio di un’autoregolazione che poco ancora comprendiamo e poco riusciamo a prevedere. Nella fortuna di avere davanti ancora un altro giorno di cammino penso a quanto poco servano ansie, paure e preoccupazioni. Con o senza questi pesi che tutti ci portiamo addosso la vita si sviluppa e si srotola come stoffa sul bancone di legno della merceria, senza poter più essere riavvolta e srotolata nuovamente.
Si assiste e si recita la propria parte in un atto unico, in cui è buona la prima (che poi è anche l’ultima), senza possibilità di replica alcuna. Certo, lo vorremmo tutti poterci ritrovare un domani, in altri mondi, con altre forme, e riconoscerci ma… a cosa poi servirebbe se fossimo destinati a perderci nuovamente?
E così sono giunta alla conclusione, seppur insufficiente, che il senso è solo nell’andare, nell’arricchirci di emozioni, di esperienza, di vita, senza più pensare alla meta, perché è nel cammino che possiamo essere ed esprimere tutta la nostra poetica, solitaria e fantastica esistenza, avendo cura di accogliere coloro che ci vogliono fare compagnia lungo la via, consapevoli che né noi né loro saranno “per sempre”.
Andando lungo la strada mi volto giusto in tempo per salutare, come fa il sole che inesorabilmente posa i suoi ultimi raggi sul dorso della montagna prima di calarsi nel pozzo della notte… E mi resteranno impressi i tuoi occhi… e ti resterà impressa la mia luce, finché di me avrai memoria”. Dedicato a tutte le vite che con crudele consapevolezza si spengono e muoiono, sapendo di morire, divorate dal male più brutto del mondo, il cancro.
PiccolaFlò
Trovi gli altri articoli della Rubricola di PiccolaFlò qui:
https://www.carlettoromeo.com/category/la-rubricola-di-piccolaflo/