Carletto Romeo
Fratellanza italica
“FRATELLANZA ITALICA” E REDDITO DI “CITTADINANZA ITALICA”
CHE FINE HA FATTO LA DESTRA SOCIALE?
Perché “Fratelli d’Italia” (2012), che è un partito politico di destra, erede di Alleanza Nazionale (1995), ma ancora prima del Movimento Sociale Italiano (1947), del quale ha adottato il simbolo della fiamma tricolore, si oppone così accanitamente al Reddito di cittadinanza, da indurre – infelicemente, direi – la segretaria del Partito Giorgia Meloni a bollarlo come “metadone di stato”?
Eppure, la destra del Novecento nasce con una vocazione peculiarmente “sociale”, in quanto considera la nazione non più soltanto come il vincolo identitario che accomuna l’élite, ma come il tessuto collettivo del popolo, dei contadini e degli operai che si sono sacrificati per il bene supremo dello Stato nelle trincee della Prima Guerra Mondiale.
Il culto del Milite ignoto, del quale inesorabilmente si appropria la retorica dei potenti di turno – anche ultimamente, nell’attuale era Draghi -, esalta infatti un nuovo eroismo, popolare e proletario. Fonda una mistica della Nazione radicata nel sentimento di appartenenza alla comunità del popolo nel suo insieme. Il milite ignoto è infatti il soldato – contadino, il soldato – proletario, e simboleggia il corpo della nazione in armi.
Senza questa componente sociale, poco o nulla distinguerebbe un partito di destra da altri partiti genericamente conservatori, o dai partiti di tradizione liberista, fondati sul dogma del mercato globale, che costituisce il nucleo forte del pensiero unico oggi dominante.
La destra del Novecento non è soltanto antisocialista, ma anche anticapitalista, e coltiva l’ambizione, non meramente retorica, di indicare una Terza via tra capitalismo e socialismo.
Il nazionalismo fascista infatti non è soltanto velleitarismo imperialista e avventurismo cinico e irresponsabile, ma anche elaborazione ideologica di una concezione corporativa e comunitaria, che prospetta un rapporto tra individuo e società non meramente regolato dal mercato, ma da valori superiori, radicato in realtà etiche forti quali la famiglia, le comunità locali, fino alla sintesi della nazione.
Al di là dei risultati conseguiti, il Sistema delle corporazioni (1922) e la Carta del lavoro (1927) miravano a superare la centralità del mercato, e l’appiattimento dei rapporti di lavoro sul piano della contrapposizione economica tra capitale e salario, per realizzare una sintesi basata su valori di socialità superiori.
Certo, si tratta di un solidarismo non astratto, e genericamente umanitario, ma concreto, poiché secondo il pensiero politico di destra – secondo la sua Weltanschauung filosofica -, l’uomo in astratto non esiste. Esiste invece l’uomo “concreto”, legato da vincoli storici identitari in una comunità nazionale ad altri uomini, con i quali condivide tradizioni, lingua, religione, eventi fondanti e memorie collettive.
Questa componente sociale, propria della destra sociale, tesa a correggere, e ridimensionare il ruolo del mercato nella società, rimane molto forte anche nel Movimento Sociale Italiano, fondato nel 1946 da “ex fascisti” del Ventennio o del periodo della Repubblica Sociale Italiana (di Salò).
Basta ricordare che la relazione sulla “Politica sociale ed economica”, approvata al primo Congresso dell’MSI del 1947, si colloca nell’ambito della Terza Via tra capitalismo e socialismo, con la critica al libero mercato e la proposta di un’organizzazione economica corporativa e socializzante che si rifà alle esperienze precedenti, a alle idee proprie della destra sociale.
Nel 1995, il Movimento Sociale Italiano si scioglie, e la sua eredità rinnovata ed emendata confluisce in un nuovo soggetto politico, Alleanza Nazionale, dove la componente della destra sociale ha uno dei suoi leader in Francesco Storace, che non a caso nel 2007 lascia AN, spostatosi troppo al centro, e fonda un nuovo partito, la Destra.
Alcuni provvedimenti, presi da Storace come sindaco di Roma, a partire del 2000, sono utili a farsi un’idea della destra sociale: introdusse un rimborso dei farmaci per i pazienti meno abbienti, stanziò dei sussidi per le famiglie regolarmente sposate in Chiesa o in Comune. In qualità di ministro aumentò di 100 milioni i fondi per la ricerca sanitaria.
La Destra di Storace ha sempre dato ampia rilevanza a tematiche sociali quali le acque pubbliche (con il ProgettoH2O) e la realizzazione del progetto di legge denominato Mutuo Sociale (che prevede l’istituzione di un ente che si incarichi della costruzione, attraverso il finanziamento pubblico, di case e quartieri da vendere a famiglie che non siano già proprietarie di una casa, tramite la formula del mutuo sociale, ossia una rata che non superi un quinto delle entrate della famiglia in questione e che venga bloccata qualora tutti i componenti familiari dichiarino lo stato di disoccupazione), a cui è assegnata una grande rilevanza in quanto è il primo progetto edilizio che non è costretto ad usufruire dell’aiuto delle banche.
Dopo il “suicidio” di Alleanza Nazionale nel 2008, che si scioglie nel Popolo delle libertà voluto da Berlusconi, nel 2012 viene fondato Fratelli d’Italia, che riprende l’eredità del Movimento Sociale Italiano – nonché il simbolo – aggiornata ed emendata.
Non manca la componente della “destra sociale” in Fratelli d’Italia, come dimostra la condivisione del progetto Mutuo sociale, rilanciato da Fratelli d’Italia nel 2018, una componente – aggiungo – implicita nel nome del partito, Fratelli d’Italia, e nella battaglia sovranista contro la globalizzazione, che mette fuori gioco gli Stati, a vantaggio del mercato globale e dei suoi attori politici e finanziari.
Non manca, ma è debole, non centrale. Eppure, senza questa centralità, Fratelli d’Italia diventa un partito di centro, e tutti i valori identitari rischiano seriamente di suonare a vuoto.
Mi spiego meglio. Quando Fratelli d’Italia propone di dare priorità agli italiani rispetto agli immigrati, nell’assegnazione degli alloggi popolari, se non vuole che la sua proposta suoni come grettamente razzista e retorica, di fatto aizzante poveri contro poveri, dovrebbe poi inquadrare tale proposta in una coerente politica sociale ed economica, perché il non avere una casa o un reddito sono evidenti fallimenti del mercato, che causano esclusione ed emarginazione tra gli stessi italiani, tra i fratelli d’Italia, appunto. Ma si sa che il mercato non conosce fratelli, ma solo compratori e venditori, questo è il punto.
Nell’attuale momento storico il complesso delle idee della destra ha assunto – come noto – un’impronta sovranista, e di conseguenza “antiglobalista”, nella misura in cui è diventato prioritario riaffermare i principi della sovranità dello Stato e dell’identità nazionale contro il mercato globale e le istituzioni sovranazionali.
L’ortodossia del libero mercato non fa parte della tradizione storica della destra, che nasce invece come terza via tra capitalismo e socialismo. D’altra parte, il suo stesso impianto valoriale non regge se non nella misura in cui le dinamiche del mercato sono subordinate al momento politico e all’autorità dello Stato. Il fondamentalismo liberista erode la sovranità dello stato e gli stessi valori professati della famiglia, delle radici cristiane, eccetera.
L’attacco indiscriminato al reddito di cittadinanza stona dunque fortemente. La vera posta in gioco non è infatti migliorarlo, emendarlo, per stanare gli imbroglioni che lo percepiscono illegittimamente: è invece abolirlo, in obbedienza all’ortodossia neoliberista. La campagna mediatica è stata martellante: invece degli evasori fiscali e delle ispezioni sui luoghi di lavoro dove muoiono tre operai al giorno, ci si occupa soltanto del reddito, e dei non vax.
Il reddito di cittadinanza dovrebbe infatti sancire l’esistenza di diritti di cittadinanza che prescindono dal meccanismo ormai globale della domanda e dell’offerta di lavoro, e che non possono essere subordinati al profitto.
I diritti di cittadinanza consistono nel garantire condizioni di vita dignitose per tutti, da parte di uno Stato “forte” che non dovrebbe soggiacere alle leggi di mercato. Sono diritti che dovrebbero prescindere dal mercato e andare contro il mercato, intrinseci alla destra sociale, secondo la quale la patria s’incarna nel popolo, e non nell’élite.
Ribadiamo che secondo il pensiero politico di destra, l’uomo gode di diritti non in quanto uomo in astratto, ma in quanto cittadino di uno stato nazionale, del quale si sente parte e partecipe se la politica ne tutela l’identità etnica, la sicurezza, il sentimento dell’inclusione e della partecipazione, eccetera.
Di qui l’opposizione all’immigrazione, alle istituzionali sovranazionali che indeboliscono lo stato e la sua identità, e al mercato sovranazionale nella misura in cui mette fuori gioco lo stato e le sue politiche sociali.
Il reddito di cittadinanza dovrebbe essere quella misura che mette fuori gioco il mercato in quanto definisce un minimum di diritti sociali di cittadinanza, che sono alla base del sentimento stesso dell’appartenenza nazionale.
Misura dunque di destra, di una destra sociale: altro che metadone di stato!
Sorge allora il dubbio che la retorica abbia il sopravvento, abbia il sopravvento la demagogia spicciola.
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