Il realismo magico di un “Nature Boy”, detto Joker – di Daniela Rullo

10 ottobre 2024: Giornata Mondiale Salute Mentale e... Joker, Folie à Deux

Il realismo magico di un “Nature Boy”, detto Joker – di Daniela Rullo

Il 10 ottobre ricorre la Giornata Mondiale della Salute Mentale e il 2 ottobre è uscito in Italia un film che sta facendo molto parlare di sé: Joker, Folie a deux, di Todd Phillips. Un film molto atteso ma che sta facendo molto discutere e ha deluso il pubblico di fan. Il sequel di Joker del 2019, è in parte un meta film, una sorta di omaggio alla storia del musical, del “divertimento”, a cominciare da “Spettacolo di Varietà”, con “That’s Entertainment”, una canzone del 1953, in cui ci sono alcune delle parole più significative che dicono per l’appunto: “Tutto ciò che accade nella vita può accadere in uno spettacolo… (e viceversa, voglio aggiungere); il mondo è un palcoscenico… questo addio fa venire le lacrime agli occhi… mentre canto questo finale spero che sia nelle tue corde… il palco è un mondo di intrattenimento”. L’accostamento con il realismo magico che fu uno stile pittorico, il cui termine venne utilizzato per la prima volta nel 1925, oltre ad essere una corrente letteraria, in cui ad elementi reali rappresentati venivano accostati elementi d’interiorità “straniante”, ma non irreale, che spesso confondevano i confini tra fantasia e realtà, non è così azzardato come può sembrare. L’aggiunta di elementi surreali o paradossali danno alla raffigurazione pittorica molto realistica un effetto di irrealtà, come se il pittore volesse quasi offrire al pubblico un punto di vista plausibile delle proprie visioni “oniriche”. Frida Kahlo, una delle sue rappresentati oggi più famose, dirà “ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni”. E così Arthur Fleck, anche lui, ci dà uno spaccato della sua realtà… Ma chi è? Un folle? O fa solo finta pur di non subire la pena di morte? Soffre di personalità multipla? È un “non sano di mente”? Secondo un’altra canzone è un “fool”, un termine anglosassone che significa “scemo, sciocco” ma è anche un “verbo”, uno che “inganna, imbroglia e gioca”. Così come lo è la carta del Joker (il nostro Jolly), che prende camaleonticamente il posto di tutte le carte e che ride anche quando non c’è niente da ridere, solo perché a tutti piace, come dice un’altra canzone della splendida colonna sonora del film (l’unica cosa che mette tutti d’accordo), perché tutti vogliono avere qualcuno che faccia ridere o di cui ridere. Realismo Magico nel metterci una “fantasia” per rendere più leggero qualcosa di doloroso, di insopportabile, per raccontarsi un’altra storia, se quella reale magari non è proprio la più bella. Cosa è sano e cosa non lo è? Sicuramente non sentirsi soli rende sopportabili anche prigioni ed angherie, oppure alimenta deliri ed accende i riflettori su di noi. Ma chi non vorrebbe piacere agli altri? E se Arthur, che indossa la sua maschera, smettesse di voler essere Joker, il pubblico, o la sua bella, lo amerebbe ugualmente?
Il cuore centrale, titolo del film, “Folie a deux”, come dire un “Paso doble”, lo spettacolo nello spettacolo, quel “diamo al pubblico ciò che vuole”, implica però un dilemma: continuare lo spettacolo o essere se stessi? In “Bewitched”, Frank Sinatra cantava di essere innamorato e Arthur ugualmente dice di non riuscire “a chiudere occhio”, dopo essere rimasto “ingannato… stregato… disorientato”, da Lee/Harley Queen, conosciuta alle lezioni di canto, presso l’Arkham State Hospital, l’ospedale psichiatrico, dove il primo è incarcerato e l’altra si è fatta internare volontariamente pur di conoscerlo. Da qui in poi, inizia una parabola, in cui i due si innamorano, “follemente”… e delirano per intrattenere il pubblico. Ma cosa vuole lo show business oggi? Puro intrattenimento o la realtà? Il Joker? O basta un Joker qualsiasi? Nel finale la risposta c’è, per i più attenti, e la battuta non fa neanche ridere perché nel Realismo Magico c’è il vero, il fantastico, e le verità nascoste di ciascuno di noi.
Come cantava Nat King Cole, in “Smile”, nel Giorno Mondiale della Sanità Mentale, tutti hanno diritto ad un “reale” e felice sorriso, perché, Joker in fondo è un’illusione, una maschera della sofferenza di Arthur Fleck, un “natural boy”, un ragazzo “incantato e strano… che aveva vagato da molto lontano, un po’ timido e con gli occhi tristi” che “potrà essere amato e permettere che l’amore gli sia ricambiato”.

Sorridi, anche se il tuo cuore è dolorante.
Sorridi, anche se si sta spezzando.
Quando ci sono nuvole nel cielo
andrai avanti
se sorridi
attraverso le tue paure e il dolore.
Sorridi e forse domani
vedrai il sole che verrà a splendere
per te.
Illumina di gioia il tuo volto nascondi ogni traccia di tristezza.
Sebbene tu sia quasi
sul punto di piangere
è il momento che devi continuare a provare.
Sorridi, a che serve piangere?
Scoprirai che la vita vale la pena viverla
se solo sorridi.
È il momento che devi continuare a provare
Sorridi, a che serve piangere?
Scoprirai che la vita vale la pena viverla
se solo sorridi
”.


Di un Joker è rimasta solo l’ombra, forse neanche quella. Ai più il film non sarà piaciuto e probabilmente non piacerà. Forse non verrà neanche compreso, nelle intenzioni. In sé è un film audace, coraggioso, in assoluta controtendenza, un film sull'”uomo” e la sua solitudine, dietro quella maschera. Resta da rileggere, nei testi delle canzoni, che tentano di rendere leggera la bestiale crudeltà della vita, a volte, di alcune persone ai margini, di cui noi non sembriamo neanche accorgerci se non quando diventano dei “fenomeni”, facendo parlare di sé e solo così non si sentono più uomini soli.
Daniela Rullo

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