Carletto Romeo
“La decostruzione dei generi. Il caso della pugile Imane Khelif” di Gaetano Riggio
“La decostruzione dei generi e dei sessi. Il caso della pugile Imane Khelif”
Se guardiamo due persone in lontananza, se non sono troppo lontane, saremo sicuramente in grado di riconoscerle almeno come persone, in modo unanime, in base a certi tratti che le accomunano, e le distinguono dagli altri enti e situazioni circostanti.
Per il resto, non saremmo in grado di distinguerne né la razza né il sesso né l’età, e così via, pur avendo un grande desiderio di scendere nel dettaglio, e di classificare con maggiore precisione le due persone intraviste o nella stessa categoria o in categorie diverse.
Tutto ciò che è vago, sfumato, indistinto, in modo tale che non riusciamo a procedere a distinzioni e classificazioni nette, se può esercitare una grande suggestione estetica, tuttavia contrasta con l’esigenza della ragione di mettere ordine intorno a sé, e di identificare gli oggetti inserendoli in insiemi ben determinati: categorie, generi, specie.
La ragione individua e in qualche modo crea un ordine a partire dal caos, in modo funzionale alle esigenze della vita umana, che ha bisogno di orientarsi, e di controllare per interagire con il mondo.
Non solo l’uomo ha bisogno di distinguere un frutto commestibile da uno che non lo è, o un animale feroce da uno mansueto, in modo certo e continuativo, ma anche un uomo da un animale, un maschio da una femmina, e così via.
Per lo più il mondo è effettivamente razionale, cioè conforme alle nostre aspettative di rispondenza a canoni e regole, che svolgono altresì la funzione di esorcizzare l’angoscia di un sopravvento del caos, che renda la vita invivibile.
Non a caso in tutte le culture e civiltà tradizionali i fenomeni insoliti e bizzarri sono stati sempre interpretati come presagi di cattivo augurio: i parti gemellari, i neonati malformati, le meteore vaganti nel cielo, le deviazioni dalla sessualità procreativa, eccetera.
Tutti i fenomeni che non rientrano negli schemi rigidi della ragione sollevano inquietudini, perplessità, insinuano il dubbio che il mondo non sia così ordinato, come la ragione umana esige, e come per lo più accade.
La crisi delle certezze del nostro tempo è anche il frutto di un esercizio critico e analitico della ragione stessa, teso a mettere a fuoco l’esistenza di “zone grigie” nelle quali non è possibile tracciare delimitazioni nette, distinguere enti e valori in modo chiaro e definito.
In realtà la decostruzione della coppia concettuale maschio – femmina e uomo – donna, è l’ultima frontiera del processo di erosione critica che ha interessato altre coppie concettuali fondamentali, quali animale – uomo, e in modo ancora più fondamentale vero – falso, bene – male, e così via.
Per fare un esempio, la decostruzione della coppia concettuale animale – uomo, iniziata almeno a partire dalla teoria dell’evoluzione di Charles Darwin (1859), ha tolto l’uomo dal suo splendido isolamento di creatura privilegiata (fatta a immagine e somiglianza di Dio), che perciò non avrebbe nulla da spartire con il resto del regno animale, e ne ha fatto invece un ramo della complessa trama evolutiva di tutti i viventi, che avrebbero un unico progenitore in LUCA (LAST UNIVERSAL COMMON ANCESTOR).
Accentuando la specificità – singolarità dell’uomo i pensatori delle grandi civiltà e le religioni universali hanno per così rimosso “l’animalità” che lo sostanzia, per esaltarne la spiritualità.
No, sostengono i pensatori critici, l’uomo in quanto creatura spirituale, da contrapporre in modo netto agli animali, è in realtà una costruzione culturale, un’ideologia che andrebbe demistificata, per mostrare che l’uomo è molto più animale di quanto non presuma, e gli animali molto più umani di quanto non supposto finora.
Lo stesso varrebbe per la coppia maschio – femmina, o uomo – donna. L’ansia di identificare, incasellare, attribuendo perciò ruoli rigidi, ha indotto a credere che, al netto della comune umanità, uomini e donne abbiano caratteristiche e tratti propri ben definiti, che funzionerebbero come polarità magnetiche che attraggono e integrano i due sessi.
La decostruzione critica di questa concezione, che non è però priva di verità, ha fatto vedere che la realtà è molto più complessa, “pur sforzandosi” di essere ordinata e integrata, e che manifesta una tendenza alla difformità, a discostarsi dallo schema concettuale che vorrebbe maschio e femmina nettamente distinti, senza possibilità di ambiguità o situazioni sfumate o difficilmente decidibili.
Anzi, per ovviare a questa difformità, civiltà e culture, addomesticando la natura, hanno creato ruoli culturali molto rigidi e separati, gli uni riservati agli uomini, gli altri alle donne – affermano i pensatori critici. In questo modo hanno reso la realtà conforme al pensiero, in modo violento e repressivo.
Ma è possibile isolare “oggettivamente” qualche tratto distintivo minimo, sufficiente a distinguere l’uomo dalla donna? E’ sufficiente il dato anatomico di avere gli organi sessuali rispettivamente maschili o femminili? È necessario, ma non sufficiente, come dimostrano i casi di uomini e donne che avvertono di vivere in un corpo estraneo, che non sentono come proprio.
Oppure prendiamo il caso di una donna biologicamente donna, e che si sente donna, ma ha una struttura muscolare e ossea mascolina, che pertiene più all’uomo che alla donna.
Questo secondo tipo di donna ha due tratti fondamentali tipicamente femminili: gli organi sessuali, e la psicologia (si sente donna, e ipotizziamo pure che è attratta dagli uomini, e magari anche dalla maternità), ma non presenta a sufficienza quel dimorfismo fisico e muscolare che anche nella specie umana distingue il maschio dalla femmina.
Il caso di Imane Khelif potrebbe rientrare in questa fattispecie (ma non è affatto certo, perché regna il buio fitto della confusione volutamente indotta sui suoi dati biografici fondamentali): sarebbe biologicamente donna, si sentirebbe donna, ma ha una struttura muscolare e tratti facciali accentuatamente maschili rispetto alla media delle donne. E possiamo pure aggiungere una forza e un’aggressività competitiva più maschili che femminili.
Dal punto di vista fisico, Imane Khelif rientra in quella zona grigia in cui la natura mostra un cedimento rispetto alla tendenza all’ordine e alla distinzione chiara e distinta delle specie e dei generi. Non riusciamo a cogliere un numero sufficiente di tratti per affermare che Imane Khelif è pienamente donna, anche se ne possiede alcune caratteristiche minime. Vedendola posare sulla scena, o in azione sul ring, i tratti maschili spiccano in modo disorientante, commisti ad altri femminili, in un ibrido che ci manda mentalmente in tilt.
Possiamo dire che sessualmente e dal punto di vista del genere, un individuo va a cadere nella zona grigia o sfumata o indistinta, quando non possiede un numero sufficiente di tratti per poterlo catalogare, ad intuito, come maschio o femmina, come accade perlopiù.
Dobbiamo prestare attenzione al “perlopiù”, perché i casi analoghi a quelli di Imane Khelif o dell’altra pugile olimpionica taiwanese Lin Yu – ting sono statisticamente una percentuale sotto il due per cento. Da qui a concludere che la natura non è sessualmente binaria, si estende una forzatura assai più grave di quanti si ostinano a negare che la natura ammette e consente al diverso, e al difforme.
Imane Khelif è in realtà “trans”? Potrebbe benissimo emergere questa verità, ma ciò non inficia il nostro ragionamento, e quanto sostenuto finora.
Vediamo allora perché i progressisti sostengono il diritto della pugile algerina a gareggiare, e i tradizionalisti no.
Non a caso è stata riconosciuta non idonea a gareggiare tra le donne dall’IBA (Mosca), idonea dal COMITATO OLIMPICO (Parigi).
Per i progressisti, si tratta di dare sempre più spazio a quei fenomeni marginali, anche se reali, che rompono con l’ordine binario tradizionale, che facendo eccezione mostrano l’indole eversiva della realtà, mentre per i conservatori, per le persone religiose, per la destra politica tradizionalista (non tutta la destra), e più in generale per l’uomo comune, è prioritario riconoscere e tutelare proprio quell’ordine in quanto assiologicamente vincolante e fondante.
Lo abbiamo visto con la pagliacciata blasfema e nauseante dell’ultima cena in versione LGBT, che con il suo spettacolo ha inaugurato le Olimpiadi di Parigi.
La risonanza mediatica capillarmente globale delle Olimpiadi consente di mettere in scena il trionfo della ideologia della rottura totale con il passato in nome di un individuo completamente emancipato dalle categorie tradizionali di maschio – femmina, uomo – donna, intese come come costruzioni posticce e oppressive.
Allora che cosa si può fare di meglio, a questo scopo, che elevare a simboli atleti o atlete che rappresentano casi – limite, capricci della natura che devono incarnare l’individuo postumano, emancipato dal binarismo bigotto e fascista?
Il dubbio legittimo sull’identità sessuale e di genere di Imane Khelif risulta così frainteso e travisato come persecuzione, discriminazione, anche a costo di contraddirsi clamorosamente. Da una parte infatti i progressisti dichiarano la morte del binarismo, secondo i canoni dell’ideologia LGBT, dall’altra però, quando vi sono seri dubbi sull’identità sessuale, in questo caso di una presunta pugile, al punto da mettere in dubbio il suo diritto a gareggiare tra le donne, si grida allo scandalo e alla discriminazione, come se bastasse dichiararsi donna per essere riconosciuta come tale.
I tratti fisici e psichici che concorrono a distinguere l’uomo dalla donna, sono così numerosi e così variabili quanto a intensità o quantità, che non tutti gli individui rientrano nel modello standard del maschio e della femmina, anche se solo in una minoranza i tratti tipici dei due sessi sono così limitati da formare una zona grigia di individui “misti”, androgini o ermafroditi, che si sottraggono alla classificazione binaria in maschi e femmine.
Che poi questa deviazione dalla regola sia interpretabile come errore, guasto, cedimento naturale dell’ordine, oppure come creatività, novità, inesauribile apertura dell’essere all’inedito, è una questione che divide, anche drammaticamente, chi riflette seriamente sulla questione.
Gaetano Riggio
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