Carletto Romeo
“Generazione X e il mondo del lavoro”
RICEVO E PUBBLICO Articolo di Stefano Albanese
La generazione x comprende tutti i nati tra il 1965 e il 1980. Oggi chi siamo e cosa facciamo?
Faccio una breve premessa: un giovane diciottenne degli anni 70 e 80, come me, per conoscere come si vivesse in Italia ed in Europa partiva dal suo paesetto calabrese (portando con sé il suo bagaglio di conoscenze e abilità) e raggiungeva Bologna, Roma o Milano allo scopo di cercare lavoro o studiare.
Partire era necessario. Anzi più lontana era la tua destinazione maggiore sarebbe stata la considerazione, a prescindere, che il paesano avrebbe avuto di te. “E’ un ragazzo che studia… che deve prendere una laurea…” avrebbe detto il grande comico Totò.
Studiare o lavorare lontano faceva parte di scelte “plurali” così come la scelta dell’indirizzo di studio era condizionata da significativi elementi. Intanto si trattava di scelte “plurali” nel senso che erano direttive, univoche e determinate da fattori familiari, da condizioni socio-economiche o nella migliore delle ipotesi da fattori emulativi.
Il figlio del medico (senza averne il talento) si sarebbe comunque iscritto in medicina, perché il padre era medico famoso e stimato in paese. Il figlio dell’operaio, pur eccellente nelle materie scientifiche e pur appassionato di anatomia, avrebbe comunque cercato lavoro nella fabbrica, perché quella era l’estrazione sociale di partenza. Diventare medico era un sogno per lui.
Vi erano poi quelli che, condizionati da fattori emulativi e dal principio degregoriano “nessuno si senta escluso”, operavano scelte standardizzate (tipo io… forse anche tu… rifletti!) correvano ad immatricolarsi, incolonnandosi in affollate segreterie di facoltà universitarie i cui sbocchi lavorativi erano al tempo facilmente prevedibili, ricorrendo però ad un bravo mago lettore della “sfera di cristallo”.
Scelte familiari, condizioni economiche e “fattori magici” e non dimentichiamo il cd. dropout (tendenza ad abbandonare studi scolastici e universitari) hanno determinato insoddisfazioni lavorative e tanta disoccupazione.
Torniamo a noi. Quelli della premessa che partimmo per Bologna, Roma e Milano. Oggi, fra di noi, abbiamo: il medico senza passione figlio di medico e il medico con tanta passione figlio di operaio (te li ricordi? Rileggi sopra).
Abbiamo l’impiegato: ha sfruttato il suo “pezzo di carta” per vincere il concorso, è appagato economicamente, vive lontano dal paesetto e torna in Calabria solo d’estate. C’è poi la categoria dei professionisti: anche qui bisogna distinguere perché da un lato abbiamo quelli che hanno “sfondato” (per lo più vivono da Roma in su e tornano con macchinone d’estate per le vacanze) e quelli con la “targhetta enorme sul portone” (della casa materna).
Sono confusi e poco convinti della professione e si mettono ora alla ricerca di quel “posto fisso” che negli anni 80 avevamo escluso, scartato, lasciato come ultima opzione. E l’avvocato diventa cancelliere al Tribunale (è un esempio nessun riferimento a persone esistenti) e l’architetto diventa sgomitando funzionario del Comune (anche questo è un esempio).
Arriviamo alle conclusioni. Siamo la Generazione x. Occupiamo i posti di potere (talvolta). Parliamo latino e mastichiamo l’inglese. Volete una prova? Dal punto di vista lavorativo ci adeguiamo “obtorto collo” alle nuove regole di mercato del “Job hopping”.
Visto? E senza usare google traduttore.
Stefano Albanese
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