Sul privilegio

Spunto Letterario del prof. Gaetano Riggio "Sul Privilegio": dal “Dialogo sopra la nobiltà” di Giuseppe Parini ai giorni nostri.

Lo Spunto Letterario
di Gaetano Riggio


Non è affatto ovvio il concetto di privilegio, neanche sul piano di una semplice definizione lessicale, per non parlare della complessa enciclopedia storica in esso implicata. Ma la definizione che troviamo nella celebre Encicopledia francese, curata da Diderot e d’Alembert (1751-1772), offre uno spunto proficuo per fare alcune considerazioni. Riportiamo allora la definizione::

PRIVILEGE, s. m. (Gramm.) avantage accordé à un homme sur un autre. Les seuls privileges légitimes, ce sont ceux que la nature accorde. Tous les autres peuvent être regardés comme injustices faites à tous les hommes en faveur d’un seul. La naissance a ses privileges. Il n’y a aucune dignité qui n’ait les siennes ; tout a le privilege de son espece & de sa nature.

PRIVILEGIO, s. m. (Gramm.) vantaggio dato a un uomo rispetto a un altro. Gli unici privilegi legittimi sono quelli concessi dalla natura. Tutte le altre possono essere considerate come ingiustizie fatte a tutti gli uomini a favore di uno. La nascita ha i suoi privilegi. Non c’è dignità che non abbia una sua; ogni cosa ha il privilegio della sua specie e della sua natura.

Il privilegio è innanzitutto uno schiaffo che la stessa natura non cessa mai di tirarci, ogniqualvolta dissertiamo sul valore dell’uguaglianza, nella misura in cui ci mette sotto gli occhi le marcate disuguaglianze che essa stessa non cessa mai di generare dotando gli uomini di qualità e talenti che variano secondo una scala che va da un minimo a un massimo, formando così una sorta di gerarchia naturale che li colloca in una struttura piramidale in cui le qualità positive e vantaggiose quanto più sono spiccate tanto meno sono diffuse.

I privilegi, che la natura accorda ad alcuni a scapito di tanti altri, quantunque legittimi (secondo la definizione riportata sopra), non per questo ci appaiono meno arbitrari, per il semplice fatto che essa dà di più (o assai di più) ad alcuni, e meno (o assai meno) ad altri, per i quali – a causa di questa enigmaticamente iniqua distribuzione delle risorse – vivere sarà più difficile, più faticoso, più frustrante, e così via.

Non c’è dubbio che la facoltà di volare è un privilegio che la natura ha accordato agli uccelli negandolo agli uomini e ad altre specie, ma è pure vero che gli uomini hanno altri doni che la natura non ha concesso agli uccelli. 

Limitandoci a quelle differenze tra gli uomini, che rendono alcuni privilegiati rispetto ad altri, quello che va sottolineato è che il privilegio è comunque distribuito dalla natura a caso. Non soltanto se abbiamo un talento particolare per il calcio, difficilmente spiccheremo sotto altri aspetti, ma questo talento è difficilmente ereditabile: infatti, quasi mai da un grande calciatore o da un grande condottiero o altro discendono eredi all’altezza dei padri. La natura ha scarsa considerazione per le genealogie famigliari: Mosè era un trovatello, Giulio Cesare il rampollo di una famiglia importante, ma niente di eccezionale, Napoleone il prototipo del selfmademan, e così via!

L’irrazionalità delle società di Antico Regime, che gli illuministi si incaricano di denunciare, consiste nella pretesa che il valore che fonda il privilegio fluisca come una prerogativa esclusiva di generazione in generazione nell’ambito di alcune genealogie secolari (le famiglie nobili, le stirpi gentilizie, con tanto di blasone araldico), munite per così dire di un sigillo di autenticità e garanzia che attesterebbe la genuinità della razza. Questo sigillo non è altro che il titolo di nobiltà!

Quando l’Encycplopédie definisce i privilegi non accordati dalla natura come altrettante ingiustizie fatte alla maggioranza degli uomini per il vantaggio di alcuni, allude proprio alla suddetta pretesa, che fa appello al sangue, alla continuità della discendenza dal ceppo ottimo del capostipite, come se il valore transitasse in modo esclusivo di generazione in generazione nell’ambito di alcune famiglie, che dunque costituirebbero la casta superiore, separata dalle altre da uno scarto ontologico, nonché da steccati sociali resi venerandi dalla consuetudine, come la proibizione del matrimonio tra nobili e non nobili, i titoli onorifici, eccetera, che hanno il compito di salvaguardare la purezza del sangue dalla contaminazione e dalla decadenza.

Nel “Dialogo sopra la nobiltà” (1757) Giuseppe Parini sgonfia questa prosopopea con la sua tipica ironia sottile e pungente. Infatti, alla pretesa dei nobili che “il sangue che in noi è provenuto dai nostri maggiori è tutt’altra cosa che il tuo [quello dei plebei]”, in quanto proprio questo sangue “rende i nostri spiriti svegliati, gentili e virtuosi; laddove il vostro [plebeo] li rende ottusi, zotici e viziosi”, per il fatto che esso “è disceso purissimo per insino a noi per li purissimi canali de’ nostri antenati”, a questa pretesa Parini risponde con la seguente seria obiezione:

Onde vien egli però che, quando io era colassù tra’ viventi, a me pareva che una così gran parte di voi altri fosse ignorante, stupida, prepotente, avara, bugiarda, accidiosa, ingrata, vendicativa e simili altre gentilezze?”,

e con quest’altra:

“Ed onde viene ancora, che tra noi altra plebe io ho veduto tante persone letterate, valorose, intraprendenti, liberali, gentili, magnanime e dabbene? Forse che qualche parte del vostro purissimo sangue vien talora, per qualche impensato avvenimento, ad introddursi negli oscuri canali di noi altra canaglia?”

È evidente che il privilegio naturale è un vantaggio (sia pure enigmatico) che circola secondo una lotteria della sorte che travalica gli ambiti delle genealogie famigliari, in modo così imprevedibile che il talento e il valore possono apparire ovunque, nei quartieri alti come in quelli bassi, o in certe periferie poste ai margini società!

Stando così le cose, l’uguaglianza può essere definita come una equiprobabilità di ottenere i privilegi naturali che opera trasversalmente, con la conseguenza che il valore che conferisce un vantaggio sociale deve potere essere riconosciuto ovunque esso appaia.

Perché i nobili dovrebbero avere il privilegio di soggiornare a corte, accedere in modo esclusivo alle cariche civili e militari più alte, occupare i posti d’onore nei luoghi pubblici, ottenere l’inchino, i titoli onorifici, e così via? Per meglio dire, perché questi vantaggi dovrebbero essere ereditati, e passare dai padri ai figli, e così via, quando sappiamo che il merito acquisito dai padri non passa ai figli, ma potrebbe traslocare presso altre famiglie, e rimettere in gioco la distribuzione delle fortune? 

Questa accezione del concetto di uguaglianza, oggi la evochiamo con l’espressione “pari opportunità”, o uguaglianza delle condizioni di partenza, ma non ne esaurisce comunque la densità semantica.

Sempre lo stesso Parini, nell’opuscolo citato, evidenzia come esista nel cuore dell’uomo una vera e propria passione per la distinzione, una superbia che scende “fino ne’ sepolcri, d’oro e di velluto coperta, unta di preziosi aromi e di balsami, seco recando la distinzione de’ luoghi perfino tra’ cadaveri”.

Egli infatti immagina che un nobile e un poeta plebeo vengano per un incidente sepolti nella stessa tomba, suscitando l’ira stizzosa del primo contro il secondo:

“Nobile – Miserabile! non sai tu chi io mi sono? Ora perché ardisci tu di starmi così fitto alle costole come tu fai?

Il punto è questo: il merito, anche se reale e non millantato attraverso titoli nobiliari, crea davvero un dislivello tale da scavare barriere, o per meglio una gerarchia che si prolungherebbe anche al di là della morte? In altre parole, noi essere umani siamo più uguali o più diseguali? Potremmo legittimare uno status speciale per alcuni di noi, fondato però su meriti effettivi e su un reale dislivello di facoltà, virtù, eccetera?

Vediamo innanzitutto che cosa obietta il poeta plebeo alla boria schifiltosa del nobile:

Questo è un luogo ove tutti riescono pari; e coloro, che davansi a credere tanto giganti sopra di noi colassù, una buona fiata che sien giunti qua, trovansi perfettamente appaiati a noi altra canaglia: non ècci altra differenza, se non che, chi più grasso ci giugne, così anco più vermi se ‘l mangiano. Voi avete in oltre a sapere che quaggiù solo stassi ricoverata la verità. Quest’aria malinconica, che qui si respira fino a tanto che reggono i polmoni, non è altro che verità, e le parole, ch’escono di bocca, il sono pure.”

In altre parole, la stessa natura che sia pure a caso dispensa vantaggi ad alcuni piuttosto che ad altri, ha fatto in modo di livellare la condizione umana fissando dei punti fermi che valgono per tutti, facendo pendere la bilancia a favore dell’uguaglianza piuttosto che della disuguaglianza. Tra questi punti fermi, oltre la già citata lotteria della fortuna, c’è la condizione mortale, la radicale finitudine, che fa della vita umana un “essere per la morte” (Heidegger): con le parole del poeta, “questo è un luogo ove tutti riescono pari“, e i giganti si ritrovano sullo stesso piano di “noi altra canaglia”!

Alla morte possiamo in realtà aggiungere il dolore, e soprattutto il lavoro, in quanto nessun essere umano può vivere di ambrosia o nettare donati dal cielo, se non per un privilegio che in quanto non naturale e semplicemente storico è un abuso, e, stando alla definizione del Dizionario illuminista, “un’ingiustizia fatta a tutti gli essere umani a vantaggio di uno solo”.

A questo riguardo, vedi il poema satirico “Il Giorno”, dove alla laboriosità del contadino e dell’artigiano Parini contrappone la oziosità da parassita del nobile, che vive non come un uomo, ma “come se fosse” un Dio mortale, immune dalla fatica.

E dunque, che cosa deve fare una società, una volta aboliti i privilegi indebiti e illegittimi? Rimarcare i privilegi naturali, sottolineando anche socialmente la distinzione che il merito crea, oppure dare la priorità a ciò che accomuna la condizione umana, optando per una società fondata sull’uguaglianza, non perché le disuguaglianze non esistono, ma perché si è scelto di metterle in secondo piano?

La rivoluzione francese ha abolito un buon numero di privilegi illegittimi, in quanto cozzano con l’uguaglianza della condizione umana in alcuni aspetti fondamentali:

  1. i privilegi fiscali, in quanto tutti siamo soggetti al lavoro, per una comune eredità esistenziale e biologica, e non pagare le tasse vorrebbe dire fruire di beni e servizi in modo gratuito, in condizione di immunità ed esenzione da una legge universale di natura;
  2. i privilegi giudiziari, in quanto delitti e sanzioni penali hanno lo stesso peso se messi su una ideale bilancia non importa chi sia l’autore del crimine; i danni arrecati dal delitto hanno lo stesso valore chiunque sia il danneggiato, e dunque anche la riparazione (sanzione penale) deve essere uguale per tutti;
  3. i privilegi di accesso a cariche e funzioni importanti, in quanto il merito lo si ritrova casualmente ovunque, e non è appannaggio di alcune famiglie titolate.

Su questa base abbiamo realizzato una società dove predomina uno stile egualitario, complici alcune trasformazioni sociali, economiche e culturali, ma non perché siamo effettivamente uguali, ma perché abbiamo optato per la sottolineatura etica, giuridica e infine istituzionale di quei fondamentali della condizione umana, che essendo condivisi da tutti noi, ci collocano su un piano comune, nel quale l’eguaglianza consiste!

Per fare un esempio, è verosimile pensare che una minoranza di persone colte e sagge sarebbe in grado di scegliere con più oculatezza i governanti rispetto a tutto il popolo (suffragio universale), eppure il costo è superato dal beneficio in un’ottica democratica, i quanto tutti devono potere in qualche modo partecipare al governo, perché il potere deve essere condiviso, e non appannaggio di un’oligarchia sia pure del merito, pena la rottura della omogeneità di base della condizione umana tra coloro che hanno il potere (simili a semidei) e coloro che lo subiscono (simili a servi, anche se sono – fossero – ben governati da un paternalismo benefico e autoritario). La democrazia esige che anche l’incompetente in qualche modo governi, eppure anche nelle stesse democrazie è già in corso una deriva di tipo oligarchico, che ha svuotato il diritto al voto di reale incidenza nell’esercizio effettivo del potere.

Un discorso analogo vale sul piano economico. Se i beni comuni sono erosi dalla privatizzazione, la società tende a divaricarsi tra semidei e servi! Per fare qualche esempio, i brevetti sugli OGM, che privatizzano le specie biologiche sottraendole alla disponibilità di tutti. Oppure la privatizzazione dell’acqua, dei beni culturali e naturali, e così via. Sono tutti processi di oligarchizzazione, per i quali beni essenziali che dovrebbero appartenere a tutti, che ci qualificano come “egualmente” umani in partenza, diventano proprietà di alcuni, dai quali la maggioranza viene di diritto esclusa, se non paga!

Il diritto stesso di proprietà si rovescia nel suo opposto, se la maggioranza ha sempre meno, e la minoranza sempre più. Il diritto di proprietà è effettivo, se tutti hanno qualcosa, ma la proletarizzazione tuttora in corso – per non parlare della sottoproletarizzazione – ci sta privando di questo diritto. Usando l’inganno e la menzogna, per coprire questa usurpazione, stanno usando un nuovo slogan: occorrerebbe passare dalla proprietà privata alla condivisione! Si capisce, sono le masse, non gli oligarchi, che devono fare questa transizione: condividere la miseria, alla quale il neoliberismo le ha ridotte!

Ma in questo modo si ritorna al privilegio, in una forma di fatto più ferrea che nelle società di Antico Regime! Essere giudicato più o meno allo stesso modo di un miliardario, se commetto un crimine, non basta a stabilire una base di uguaglianza accettabile, se sotto molti altri aspetti altre forme di disuguaglianza hanno scavato un abisso tra la mia condizione e la sua!

La stessa parità di accesso ai posti e ai ruoli più alti, è sempre più virtuale e sempre meno effettiva, perché la mobilità sociale si è drammaticamente ridotta, con la conseguenza che il merito è sempre meno garantito, e sempre più oltraggiato. Il privilegio della ricchezza ereditaria, infatti, tende a creare circoli ristretti, consorterie e clientele nel cui ambito si restringe l’accesso ai posti di lavoro chiave in tutti i più importanti ambiti della vita economica, sociale politica, fatto salvo il fenomeno della cooptazione di chi riesce a emergere dal basso.

La conseguenza ultima è che il privilegio, bandito dall’illuminismo e dalla rivoluzione francese, è ritornato prepotentemente, rendendo la nostra società sempre meno uguale e democratica e sempre più elitaria e oligarchica.


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Carletto Romeo